“La Via del Sol Levante” di Vattani

mercoledì 31 maggio 2017


Cosa ci fa una colonna romana originale, abbandonata in mezzo ai monti giapponesi, nel cimitero dei samurai della tigre bianca? Di questa ed altre storie ci racconta Mario Vattani, già Console generale a Osaka che, dopo il successo del suo primo libro, “Doromizu. Acqua torbida”, ci presenta il suo nuovo libro “La Via del Sol Levante. Una storia giapponese” (Edizioni Idrovolante).

Vattani, come mai ha deciso di dedicarsi alla letteratura?

Sono stato fortunato. Sin da giovanissimo ho sperimentato vari modi di esprimere e di raccontare. Prima le arti visive, la fotografia, ma poi soprattutto la musica, a cui mi sono dedicato per tanti anni. Ma sono mezzi che hanno dei limiti: le immagini si prestano a interpretazione, la musica ha degli stili che possono non piacere a tutti. La parola invece, che sia prosa o poesia, è più universale e comprensibile a tutti, arriva più lontano. Fino a poco tempo fa, per me scrivere era associato al mio lavoro. Un diplomatico di norma scrive molto. Trovo che nello stile diplomatico ci sia qualcosa insieme di diretto – quasi brutale – e di raffinato, un equilibrio che non si smette mai di imparare. Avere oggi l’occasione di tentare di applicare questa tecnica ad un romanzo, o per raccontare un’avventura personale ambientata nella storia di due Paesi, come ne “La Via del Sol Levante”, è una bella sfida.

Ci racconta questo suo nuovo romanzo?

Senza svelare nulla, posso dire che è un romanzo che ci riporta in Giappone, ma stavolta chi guida – è il caso dirlo – sono proprio io. Ho voluto raccontare il lungo viaggio in moto che ho intrapreso dopo essere riuscito a trasferirmi a Tokyo nel 2003. Così da un momento all’altro il lettore si ritrova in sella a una Ducati, sull’autostrada che porta verso il remoto e ancora misterioso nordest del Giappone, alla prefettura di Fukushima, che a quell’epoca non era stata ancora colpite dal terribile terremoto. È un’avventura nel presente, ma quando scopro un monumento italiano degli anni venti abbandonato nelle montagne giapponesi, nel cimitero dei giovani samurai della Tigre Bianca, il viaggio diventa anche un’indagine nel passato…

“La Via del Sol Levante”, tra l’altro, è inserita nelle celebrazioni ufficiali del 150esimo Anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia...

Proprio così. Anche se i primi scambi tra Giappone e Italia risalgono alla seconda metà del XVI secolo, le relazioni diplomatiche sono iniziate formalmente il 25 agosto 1866 con la conclusione di un Trattato di Amicizia e di Commercio tra i due Paesi. Dal 2016 fino al prossimo agosto, si tengono in varie località giapponesi e italiane moltissimi eventi culturali, mostre, spettacoli di altissimo livello. Sono stato onoratissimo quando la “La Via del Sol Levante” è entrato a far parte a pieno titolo delle celebrazioni ufficiali del 150esimo Anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia.

Quanto c’è di Mario Vattani nei suoi libri, e come mai li ha ambientati entrambi in Giappone?

Ho vissuto in Giappone molti anni, e dal Giappone sento di aver ricevuto sempre moltissimo, ogni giorno. Quindi è naturale per me, anche ne “La Via del Sol Levante” raccontare delle versioni giapponesi di me stesso ed ambientarle su uno sfondo pieno di contrasti come è quello nipponico.

Un paese come il Giappone, capace di far sognare tante persone in Occidente, è come una perla rara, frutto di un equilibrio perfetto tra mille contraddizioni. Dal mondo delle arti marziali, a quello delle arti come la cerimonia del tè, la calligrafia, l’ikebana, che fondono perfettamente lo spirito con l’estetica e la ritualità, al violento e severo mondo dell’underground, fino ad arrivare ai fumetti manga e alle loro controparti animate, sono ormai moltissimi i giovani e meno giovani che nel Sol Levante trovano motivo di ispirazione.

Quali sono gli autori l’hanno ispirata?

Se nel caso di “Doromizu” sono stato certamente influenzato da scrittori giapponesi contemporanei come Ryu Murakami, Natsuo Kirino, Mitsuyo Kakuta, e poi da tantissimo cinema nipponico dagli anni ‘50, agli ‘80, nel caso della “La Via del Sol Levante” sono per così dire “tornato alle origini” della mia passione giapponese: sicuramente Yukio Mishima, ma poi alle atmosfere del Noh, da cui mi sono ispirato per utilizzare in chiave moderna uno degli stratagemmi di quel teatro tradizionale, dove la realtà e il sogno convivono nello stesso luogo, in modo che l’immaginazione porti quasi ad un incontro dei fantasmi del passato. Attraverso dei paesaggi che sembrano quasi visioni, il protagonista, nonostante l’iniziale voglia di fuga dalla propria terra d’origine, percepita come decadente e lontana rispetto alla disciplinata freschezza che si respira nel Sol Levante, viene al contrario trascinato a capofitto nel cuore della storia del suo stesso Paese.

Tornerà presto in Giappone?

Di fatto, essendo la mia famiglia per metà giapponese, abbiamo spesso occasione di trascorrere del tempo in Giappone. E poi il nostro stile di vita dentro casa, che - per dire - anche in Italia si svolge sempre sui tatami, non fa mai sentire una vera lontananza o nostalgia di quelle isole, perché in qualche modo sono sempre presenti.


di Dona. Gimigliano