Un libro che racconta la desertificazione manifatturiera

Come, dove e quando ebbe inizio la “Catastrofe”? Quella, cioè, della “Globalizzazione” che ha letteralmente distrutto la manifattura italiana, messo sul lastrico milioni di famiglie e precarizzato, forse per sempre, il lavoro e l’avvenire delle giovani generazioni? Ovvero, come si descrive a parole quel “punto-sella” topologico instabile da dove tutto si può scatenare all’istante successivo, così come teorizzato matematicamente nella “Teoria elle catastrofi” da René Thom? Ci provano e riescono meravigliosamente a chiarirci le idee il Premio Strega Edoardo Nesi e il giovane “gnomo”, talento prodigio della City di Londra, Guido Maria Brera nel loro recente libro (un dialogo separato a due, come quello di Mauro Corona in “Quasi niente”), “Tutto è in frantumi e danza”, Edizioni La nave di Teseo (2017). Nesi, ex imprenditore, viene dalla strage socio-antropologica che ha estinto la ex fiorente manifattura tessile di Prato per opera dei cinesi; Brera invece ha vissuto e ha giocato, “surfeggiando” dagli schermi insonni dei suoi computer londinesi, con l’onda dello tsunami che ha provocato la disfatta finanziaria di Grecia e Italia. “Tanto, se non l’avessi fatto io, qualcun altro avrebbe preso il mio posto”, ci dice.

La cima della cuspide alla quale siamo arrivati tutti allegramente, di nostra spontanea volontà, è quella tanto decantata dai pifferai magici della globalizzazione e dell’Euro, venduti come il toccasana a tutte le nostre angosce e crisi esistenziali. Entità magiche e immanenti, i due mostri che, per i loro incantatori, avrebbero creato un nuovissimo mondo di benessere privo di porte e finestre, in cui tutti saremmo vissuti felici e contenti. La data di inizio della nostra discesa catastrofica verso l’abisso dove ci attendeva, a “potenziale zero”, la desertificazione manifatturiera, la precarizzazione del lavoro e la disoccupazione permanente, è presto detta: l’11 dicembre 2001, quando la Cina, senza colpo ferire e senza pagare nessun dazio di nulla, entra nel Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. Segue a ruota la spinta finale che fa scivolare il sistema economico-finanziario dei Paesi mediterranei della Ue lungo la superficie abissale della cuspide, con istante di inizio il 1° gennaio 2002, quando l’Euro marziano diviene valuta corrente comune, in sostituzione anche della nostra Lira. E sì, perché dovete sapere che la Germania, avendo adottato un euro svalutato, mentre per noi era stato invece criminalmente sopravvalutato, ha guadagnato nel tempo un primato imbattibile grazie a un avanzo stratosferico della sua bilancia commerciale. Noi si muore. Loro dominano il mondo. Manco Hitler e Stalin avrebbero potuto fa meglio!

Come i cinesi, del resto, che hanno inondato i nostri mercatini e negozi di prodotti volgari e di bassissima qualità, che tutti noi siamo compulsivamente indotti ad acquistare, perché costano poco e non durano nulla. Spendendo così, per metterci in casa ogni anno qualche quintale di stracci a testa, molto di più di quanto avremmo fatto scegliendo capi italiani di buona qualità, con ben altra densità di know-how e di gusto estetico. Brera cita il bellissimo esempio-metafora delle salamandre: abbiamo costruito artificialmente un habitat ideale per le prime (i consumatori occidentali) non tenendo nessun conto delle leggi di natura. Improvvisamente, senza che ce ne accorgessimo o muovessimo un dito per impedirlo, sugli alberi di quell’oasi va nidificare un uccello predatore (Cina e tigri asiatiche) che, in poco tempo, azzera l’intera popolazione di salamandre. Tanto, dopo averne fatto strage, grazie alle sue potenti ali, potrà spingersi ovunque, diversificando così le sue prede che la nostra stupidità continuerà a garantirgli in abbondanza. Ma è Nesi a offrici la chiave di volta per capire come, meritatamente, in fondo, la manifattura tedesca non solo non ha perso un colpo, ma si è enormemente rafforzata sui mercati aperti internazionali. Ma, del resto, sul nucleare non ci siamo evirati da soli, al contrario di Francia e Germania?

 

Sarà il padre ottantenne di Nesi, con la sua saggia curiosità, a spingere suo figlio a ricercare la banale verità sulla Rete. Il motore sistemico del successo tedesco si chiama Fraunhofer, “una rete pubblico-privata di laboratori di ricerca applicata che ha un budget annuale di “2,1 miliardi di euro”, il 30 per cento dei quali sono finanziamenti dello Stato tedesco, mentre il restante viene da contratti con industrie private e progetti di ricerca finanziati dallo Stato. La Fraunhofer avviò la sua attività nel 1954 (sic!), fondando il suo primo istituto di ricerca. Oggi ne esistono 67 sparsi in tutta la Germania, e danno lavoro a “24mila scienziati” [che] non fanno teoria ma si occupano esclusivamente di tradurre in innovazione industriale i risultati delle ricerche più avanzate [regalando alla manifattura tedesca] quel vantaggio competitivo che consente loro di prosperare e di mantenere la produzione in Patria, esportando ad alto prezzo prodotti tecnologici che diventano impossibili da creare altrove”. Metteteci il fatto che i tedeschi hanno fatto una rivoluzionaria riforma del lavoro decenni prima di noi e, poi, miei cari cittadini, studiate bene con chi ve la dovete prendere, per averci ridotti in questo deprecabile stato!

Aggiornato il 31 luglio 2017 alle ore 11:32