“La Tenerezza”, trionfo della tristezza

sabato 22 aprile 2017


Forse i film andrebbero vietati ai minori non solo per le scene di sesso o di violenza, ma anche per il potenziale senso di tristezza infinita e di angoscia esistenziale che possono infondere agli spettatori.

È il caso di “Tenerezza” di Gianni Amelio, con Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti e Greta Scacchi e con la straordinaria interpretazione di Renato Carpentieri. Uno dei film più tristi della storia del cinema italiano. Storia di solitudine, incomunicabilità, follia, suicidio e omicidio di un’intera famiglia.

Il tutto ambientato in una Napoli medio borghese, nella casa di un avvocato cosiddetto “parafangaro”, che vive da vedovo invisibile e che mal sopporta l’attenzione che i due figli ogni tanto gli dedicano, più per senso di colpa che per affetto visto che neanche si parlano. L’avvocato è rimasto vedovo perché la moglie a suo tempo si ammalò e morì di cancro quando venne a sapere di una sua relazione con un’altra donna. Addirittura portata a casa per farci sesso.

L’avvocato è reduce da un infarto e, quando torna a casa dopo aver rifiutato le attenzioni dei due figli (che in realtà sono degli esseri tristissimi a loro volta: lei, la Mezzogiorno, è una interprete di arabo presso il tribunale rimasta incinta dopo un’esperienza di studio in Egitto per imparare la lingua, mentre lui fa il barman in un bar della movida), scopre che nell’appartamento accanto è venuta ad abitare una coppia giovane con due figli trasferitasi da poco nel capoluogo campano. I nuovi vicini sono, lui (Elio Germano), operaio nei cantieri navali, mentre lei (Micaela Ramazzotti) è una ex ragazza sbandata e orfana. Nasce da subito una simpatia fatta di reciproche solitudini e tanta tenerezza da parte del vecchio avvocato nei confronti dei nuovi inquilini.

Purtroppo, come spesso accade nei film di Amelio, bellissimi e molto significativi, il lieto fine non c’è: la favola della famigliola che faceva tanto compagnia, con lei orfana espansiva e lui figlio unico un po’ chiuso ai limiti dell’autismo, e con i figli creature meravigliose, si interrompe un brutto giorno di pioggia quando l’avvocato, che la mattina aveva aiutato il personaggio interpretato dalla Ramazzotti a fare il ragù, è impedito a rientrare nella propria abitazione da poliziotti, pompieri, agenti della scientifica e ogni “mal di Dio”, in queste situazioni. Cos’era successo? Semplice, al personaggio interpretato da Germano era partita la brocca e aveva ammazzato se stesso e i figli, mentre la compagna interpretata dalla Ramazzotti era rimasta in coma irreversibile.

Comincia così una nuova fase dell’incomunicabilità umana di cui si sostanzia la pellicola: il vecchio avvocato si finge padre della orfana e la veglia, parlandole, e restandole accanto. Come in “Parla con lei” di Pedro Almodóvar, al netto delle implicazioni di perversione sessuale. Naturalmente la giovane morirà lo stesso tra infermieri che le fanno foto di soppiatto per rivendersele ai giornali locali dato il grande clamore provocato dall’omicidio-suicidio.

L’avvocato “parafangaro”, che non comunica con i due figli e che vive nel rimorso per la moglie ammalatasi e morta di cancro come conseguenza della sua relazione prima nascosta e poi inopinatamente rivelata da terzi, vive nelle vite degli altri, quasi degli sconosciuti, per trovare quella tenerezza che i rapporti familiari non prevedono. Constatando amaramente che anche così non funziona. Della serie: e vissero, sempre e comunque, tutti tristi, infelici e scontenti.

(*) Trailer ufficiale


di Rocco Schiavone