“Quello che so di lei”, soprattutto il perdono

“Quello che so di lei” è un film bello e tristissimo. Dove Catherine Deneuve, insieme agli altri attori, dimostra un’arte che sconfina nella letteratura se non nella poesia. E d’altronde non ci si aspettava di meno dalla regia di Martin Provost e dalla Bim che non compra titoli a caso da distribuire né da produrre.

Dura quasi due ore ma è avvincente più di un thriller la storia di questa ostetrica, Claire, interpretata da Catherine Frot, che ha il coraggio di perdonare anche quelli o quelle che la tradiscono. Che la abbandonano. Ma è un perdono laico, non cattolico piagnone, di quelli più esibiti che praticati. Il plot narrativo, la trama, fa sì che questa donna generosa come il lavoro che svolge, far nascere le persone, si imbatta in un’altra donna, Beatrice, interpretata dalla Deneuve, che invece in passato nei suoi confronti non era stata così generosa. Era infatti l’amante del padre, poi finito sucida e forse per causa sua, del suo abbandono, ma che lei amava più della madre naturale del resto mai praticamente conosciuta. Quella che in teoria avrebbe dovuto essere una matrigna, lei la amava come una madre. Ciò nonostante se ne era andata, abbandonando anche il padre, cioè l’amante, che di lì a poco togliendosi la vita avrebbe lasciato questa ostetrica oltre modo sola. Eppure quando si ripresenta, ormai morente di cancro, la perdona. Di più: la aiuta a passare meglio il tempo di quel che le restava da vivere. Solo davanti alle novità della burocrazia questa nostra eroina decide di tenere duro: quelle portate dalla nuova sanità robotizzata francese. Cui si converte anche l’ospedale presso cui lavorava, stimata come la migliore. Ebbene, mentre tutte le colleghe firmano un nuovo accordo per nuovi protocolli di assistenza in cui le persone assistono le macchine o poco più, lei rifiuta. Rara avis. Controcorrente e anticonformista. Fino allo stoicismo. E, chissà perché, fa venire in mente quegli 11 intellettuali antifascisti che rifiutarono di firmare il manifesto della razza di mussoliniana memoria.

Si parlerà a lungo ancora della vicenda dell’ostetrica Claire e della sua matrigna Beatrice. Ma per spiegare la genesi del film che vi abbiamo appena raccontato bastano le parole del regista.

“Sono stato salvato alla nascita da un’ostetrica - ha dichiarato Provost - e mi ha donato il suo sangue e questo suo gesto mi ha permesso di sopravvivere. Lo ha fatto con incredibile discrezione e umiltà. Quando mia madre mi ha raccontato la verità su questa vicenda, un po’ più di due anni fa, mi sono immediatamente messo a cercarla, senza neanche conoscere il suo nome. Poiché gli archivi dell’ospedale dove sono nato vengono distrutti ogni vent’anni, di quell’evento non restava alcuna traccia. Mia madre si ricordava che non era giovanissima, quindi sono convinto che sia morta. A quel punto ho deciso di renderle omaggio a modo mio, dedicandole questo film - ha spiegato il regista - e, attraverso una protagonista ostetrica, di tributare un riconoscimento a tutte queste donne che lavorano nell’ombra, dedicando le loro vite agli altri, senza aspettarsi nulla in cambio”.

(*) Trailer ufficiale

Aggiornato il 09 maggio 2017 alle ore 12:23