Lear di Edward Bond:  parabola del potere

Una riflessione sull’indissolubile rapporto tra uomo e potere. Una parabola della violenza, dell’orrore, delle guerre e dei rapporti di forza, pubblici e privati.

Il drammaturgo inglese Edward Bond scrisse “Lear” nel 1971, pensando probabilmente di trovare risposte nella tragedia shakespeariana agli orrori della Seconda guerra mondiale, dai campi di sterminio alla bomba atomica. Ma l’opera, cruda e violenta, ben si colloca nello scenario odierno, animato da politiche folli che prendono vita nelle democrazie occidentali. Lear è un re dispotico e autocrate che si dedica alla costruzione di un muro per separare il proprio regno da presunti nemici confinanti. Coloro che si ribellano al suo progetto vengono uccisi senza pietà. Le figlie del sovrano, Bodice e Fontanelle, vanno contro il suo volere, innescando abusi e una guerra sanguinosa e senza fine, cosparsa di una lunga catena di violenze e tradimenti. Divenuto loro prigioniero e poi liberato, Lear è accompagnato e al contempo ossessionato dal fantasma del figlio di un becchino, la cui gentilezza verso il re lo ha portato alla morte. Intanto forze ribelli, una volta preso il potere, torturano il re, privandolo della vista, e ne uccidono le figlie. Solo una volta cieco Lear riuscirà a vedere con chiarezza le cose, l’inutilità di tanto sangue e la scelleratezza dei dominanti. Quando ormai il testimone della violenza è passato in altre mani. Sul finale Lear si lascerà uccidere da un giovane soldato di guardia mentre prova a smantellare quel muro da lui stesso strenuamente voluto.

Quella che Bond ci consegna è una catena di orrore senza fine. Il richiamo a Shakespeare appare quasi un pretesto; il Lear di Bond è infatti un testo complesso, una riflessione sull’uomo e sul potere e su come il potere renda schiavo chi lo detiene, portando un sovrano o un ribelle, una volta al comando, a mettere in atto comportamenti speculari. È al contempo una riflessione sul tradimento e sulla corruzione, sulle paure e sulla violenza che queste ci portano a mettere in atto, ammantandole di accettabilità. Il racconto è infatti circolare: Lear è aguzzino e vittima della sua stessa mostruosa invenzione.

Per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli, questa riscrittura moderna del Lear, che vede protagonista in questo nuovo allestimento Elio De Capitani (eccellente anche l'eclettico Francesco Villano), è in scena al Teatro India fino al 9 aprile (una produzione lacasadargilla e Teatro di Roma all'interno della rassegna “Confini”).

Lo spettacolo continua con le repliche all’Elfo Puccini di Milano dal 19 aprile al 7 maggio. Più di due ore di spettacolo (forse troppe) per otto attori che interpretano oltre trenta personaggi – e questo tende a creare talvolta smarrimento nello spettatore che rischia di perdere il filo della narrazione – muovendosi su un palcoscenico nudo attraversato da impalcature di tubi metallici su cui si stendono drappi semitrasparenti, il tutto condito da elementi di teatro di ricerca.

Un’atmosfera cupa, claustrofobica, carica di ansia e di pericolo, accentuata dalle musiche di Alessandro Ferroni e Umberto Fiore e da luci a neon che si accendono e spengono a intermittenza. La scena iniziale rievoca fortemente “1984” di George Orwell, mentre l’arrivo del soldato, che uccide il figlio del becchino e ne stupra la moglie, riporta inevitabilmente alla mente una scena di “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick. Uno spettacolo interessante, anche se non alla portata di tutti.

(*) Foto di Sveva Bellucci

(**) Per info e biglietti: Teatro India

Aggiornato il 09 maggio 2017 alle ore 12:29