Michela Andreozzi al “Brancaccino”

sabato 11 marzo 2017


“Una stanza per Lei”; questo il titolo della rassegna dedicata al teatro al femminile, che prevede un “turn over” necessariamente molto ravvicinato tra le diverse protagoniste sul palcoscenico. Così, la bravissima Michela Andreozzi sarà presente al Teatro Brancaccino di Roma, con il suo esilarante spettacolo “L’Amore al tempo delle mele”, soltanto dal 9 al 12 marzo. Quasi due ore di assoluto buonumore, nebulizzato dalla Andreozzi proprio come un profumo di melo in fiore, assai in tema con la primavera incombente.

La scena è costituita dagli arredi fondamentali della stanza di un’adolescente femmina degli anni Ottanta: una porta (scudo verso il mondo nemico degli adulti), lo specchio, il diario, il telefono. Tutte cose che fanno di una ragazzina un soggetto cult, logorroico, inutile e appassionato su questioni assolutamente irrilevanti come troppo/poco seno, il ballo della mattonella, il primo no/sì e la madre che rompe, pontifica e predica, che ti guarda ai raggi X come “jeeg robot” dicendoti che ti fa e ti disfa a suo piacimento ma che, alla fine, s’incarta come un’analfabeta di ritorno quando lei, napoletanissima e probabilmente poco sensuale e imbranata, deve spiegare a sua figlia i misteri del sesso. Allora lei, l’adolescente, gonfia di ormoni e delle conseguenti pruderie è costretta ad andarle a cercare sui romanzetti osé dell’epoca, dove la conclusione a letto di un approccio amoroso o di un amore fedifrago confondeva e inquinava le acque più che fare chiarezza.

Poi, la brufolosa e la bella. Perseguitata e persecutrice. Con l’esito esistenziale completamente invertito: la derisa che si laurea, diventa una donna bella e affascinante, si sposa e ha figli. Mentre la seconda, di apparenza in apparenza, di marito in marito (tra cui un chirurgo plastico), rimane bellissima e supersiliconata anche alla soglia della menopausa e sarà proprio quest’ultima, figura negativa dell’apparire senza essere, a essere massacrata dalla Andreozzi lungo l’intera parodia. Lei, con la sua bocca rifatta a culo di gallina che, molto peggio del mitico De Mita l’Avellinese, storpia un bel numero di consonanti, impossibilitata alla corretta pronuncia dalla rigidità delle sue labbra false turgide iperbotulinate.

Molto coinvolgente, quasi catartico, liberatorio certo, è il pieno, divertentissimo coinvolgimento di tutto il pubblico femminile, per quanto riguarda la scelta del diario più o meno segreto (ce n’era uno per l’uso delle mamme curiose, e un altro conservato come il guscio delle tartarughe smarrite per casa). E, all’inizio di ogni anno scolastico, era proprio questo passaggio chiave nelle cartolerie allora frequentatissime, a creare lo stereotipo della donna che sarà. Frivola, seria, terzomondista e zecca, ecc.. Vedere tante spettatrici, donne oggi mature, ricordarsi dal vivo con così tanto piacere e allegria della loro gioventù di quaranta e passa anni fa, fa spettacolo nello spettacolo. Poche attrici comiche, mi verrebbe da dire, sarebbero capaci di fare altrettanto. Ma la Andreozzi è, obiettivamente, superdotata di natura: bella davvero, con una voce straordinaria, che può fare proprio di tutto: cantare con voce appassionata, potente e perfettamente intonata, accompagnata da un maestro-clown con abito d’Arlecchino, che suona e canta dietro una pianola mascherata da megaradio stereo dell’epoca.

Poi ci sono le sue esilaranti imitazioni di donne fatali, ragazze giovani e pseudo spregiudicate, che recitano in tutti i principali dialetti italiani. Come la sessuologa di Reggio Calabria d’impostazione tipica di quegli anni: tutta teoria e niente pratica (il suo nome è infatti Illy Bata), che tiene una rubrica del cuore; lei calabrese e pudica, leggendo e rispondendo a lettere da ragazzi e ragazze con l’antica saggezza delle nonne dell’epoca, dicendo e soprattutto non dicendo, anche riguardo all’uso imbarazzante del misterioso profilattico, in Calabria allora oggetto sconosciuto. Per non parlare, poi, della ragazzina al telefono con l’amica del cuore. Ore, per dirsi, senza avere risposta, “ma oggi, chi ti piace a te?”.

Insomma: una stanza che fotografa in assoluta allegria il tempo delle mele di tre decenni fa. Imperdibile per qualsiasi voyeur che si rispetti!

(*) Per info e biglietti: Teatro Brancaccino


di Maurizio Bonanni