Le “Figure” dell’Italia   nei ritratti di Quaglieni

L’ex Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, fa sapere che ora che non è più alla guida del Governo vuole dire, “con ancora più forza di prima”, che fa il tifo per l’Italia: “Giudicatemi pure fuori moda, fuori tempo, insomma, sempre fuori, dai: ma essere patriota è bello”.

“Dai” (per parafrasare Renzi), come si fa a non essere “patrioti”? “Dai”: tutto sta, però, a intendersi di quale “patria” si vuole essere “patrioti”, quale Paese si guarda e si vuole serbare memoria e, possibilmente, tramandarla. “Dai”: tutto sta a intenderci sulla composizione dell’ideale Pantheon di questa Italia, che non è quella dei 140 frettolosi caratteri di Twitter, degli slogan dal significato incomprensibile (“Il futuro, prima o poi, torna”; “dai”: se il “futuro” torna, significa che è “andato”, e dunque è passato, non è più futuro...”dai”); e poi quel richiamarsi al poeta Paul Valéry (“il futuro non è più quello di una volta”), “dai”, non mutilarlo a tuo uso e consumo. La citazione è: “Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”; e Valéry lo dice in un tempo e in un contesto ben preciso, che – “dai” – non si adatta a quel che vorresti piegarla.

Fuor di celia. La “patria” di cui si vorrebbe esser parte, e “patrioti” che si vorrebbe avere per compagni di viaggio – rubo l’espressione a Marco Pannella – sono quella “cosa” fatta di persone di altri tempi, speriamo futuri. Ecco, per capirci: un’idea di “patria” (e “patrioti”) da cui tutti si può proficuamente attingere è quella che racconta Pier Franco Quaglieni nel suo “Figure dell’Italia civile” (Golem edizioni, pagg.185, euro 16).

Il professor Quaglieni, docente e saggista di Storia risorgimentale e contemporanea, da sempre è animatore di un circolo che a Torino (ma non solo a Torino) coniuga cultura e impegno civile (può esserci, del resto, impegno civile senza cultura, e viceversa? No, ovviamente); si parla del “Centro di studi e ricerche Mario Pannunzio”, che ha visto tra i suoi animatori personalità come Arrigo e Camillo Olivetti, Mario Soldati, Alessandro Passerin d’Entrèves. È sufficiente scorrere l’elenco dei “ritratti” delle “figure” dell’Italia civile che Quaglieni propone: Luigi Einaudi, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, Arturo Carlo Jemolo, Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Franco Venturi, Alda Croce, Rosario Romeo, Enzo Tortora, Marco Pannella, Mario Soldati, Mario Pannunzio... e abbiamo citato alcuni dei personaggi come in una decimazione: che tanti altri ce ne sono, e non meno importanti, significativi. Ritratti veloci, che con rapida pennellata svelano una storia, e tante storie.

Calamandrei? “Non fu mai un politico perché non ebbe ambizioni: per lui era più importante il cammino da compiere che il risultato da conseguire. Di lui si disse che fu ‘un ingenuo in Parlamento’ ed egli stesso si rallegrò di tale definizione perché ‘in un momento come questo, in cui ci sono tanti furbi, l’essere chiamato ingenuo è un complimento’”.

Ernesto Rossi: “... Sicuramente l’indipendenza di giudizio e il coraggio di andare sempre controcorrente furono le cause che portarono Rossi ad essere una specie di straniero in patria, oggi quasi dimenticato...”. Vittorio De Caprariis già nel 1959 “seppe individuare alcuni dei mali più gravi del nostro sistema politico: lo squilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo, l’inefficienza del Parlamento, l’interferenza della politica nell’amministrazione e dell’amministrazione nella politica, la degradazione degli organi di partito, il prepotere di occulte influenze, la sfrenata libidine di potere dei monopoli privati e pubblici, la partitocrazia...”.

A Marco Pannella viene riservato un ritratto che è impossibile riassumere, senza tradirne il senso; possono però bastare le due righe finali: “Fu l’unico uomo politico che riuscisse a parlare alle persone comuni e a dialogare con i giovani”.

Con una punta di malinconia, Quaglieni annota: “Il mio modo di sentire e di confrontarmi con la realtà è rispettoso di ogni fede e di ogni convinzione politica, secondo i principi della laicità liberale appresa dallo studio dell’opera di Francesco Ruffini... Ma dietro di me si intravvede, quasi in ogni pagina, il magistero di Benedetto Croce che resta il punto di riferimento della mia vita intellettuale. È dalla lettura di Croce che sono giunto a Pannunzio, prima ancora dei vent’anni...”. E poi, a proposito del libro: “Penso che venga fuori un ritratto di un’Italia lontana, spesso dimenticata, un mondo ormai scomparso...”.

A mitigare l’umore e il “sentire” di Quaglieni, si può dire che il suo libro contribuisce a tenere in vita questa Italia, che sì, spesso dolosamente viene dimenticata; e quanto, invece, dovrebbe essere conosciuta, valorizzata, presa ad esempio: perché, appunto, persone di altri tempi, speriamo futuri. Di questa “patria”, sì, si dovrebbe essere “patrioti”. Oggi, annota Quaglieni, “la disinvoltura ha preso il posto della laicità, le idee sono state surrogate da un avvilente pragmatismo senz’anima”. È vero. Ma a Quaglieni e a tutti noi vorrei dire quello che ho sentito in più di un’occasione dire da Leonardo Sciascia: la necessità di “contrarsi”, come diceva Seneca per gli schiavi: “Si scoprirà che magari siamo isolati, ma non soli, e comunque più di quanto si pensa”.

Questo libro di Quaglieni fa parte dell’opinione da contrapporre alle opinioni dominanti, e costituisce un prezioso utensile per “contarsi”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:32