“Lenòr”, una martire  della libertà a teatro

Dedicato ad Eleonora de Fonseca Pimentel, una delle protagoniste della breve Repubblica Napoletana del 1799 impiccata durante la restaurazione borbonica, lo spettacolo “Lenòr” è a Roma (Teatro Tordinona, fino al 26 febbraio) dopo varie tappe, anche internazionali, e oltre centocinquanta repliche. Ne parliamo con gli autori (insieme ad Enza Piccolo) Nunzia Antonino - unica attrice in scena - e Carlo Bruni, che cura la regìa.

Com’è nato quest’interesse?

C.B.: Enza Piccolo, scrittrice di Trani, tempo fa ci propose di leggere un suo libretto che affronta questa figura, raccontata proprio in forma di monologo, e io e Nunzia recuperammo dalla memoria scolastica il personaggio e quella rivoluzione effimera che segnò il Sud. L’incontro è stato folgorante, Eleonora ha combattuto una vita talmente potente che è molto difficile restarne indifferenti; quindi è iniziato il nostro viaggio di conoscenza, approfondimento, e il legame è cresciuto al punto di farne uno spettacolo che cerca di evocarne la presenza.

Buona parte del testo è basato sul romanzo “Il resto di niente” di Enzo Striano. Quale altro materiale avete avuto a disposizione?

N.A.: Senz’altro quello è stato una guida, ma ce ne sono tanti, la ricerca è stata dettagliata. Tra le nostre mani è arrivato un libro che non si trova più, me lo sono fatto dare da un amico, l’ho fotocopiato e studiato: è “Cara Eleonora” di Maria Antonietta Macciocchi, che ha vissuto vicino la sua casa natale a via Ripetta a Roma, dove c’è la targa a questa “martire per la libertà”. E poi c’è stato “La rivoluzione napoletana del 1799” di Benedetto Croce, che ha raccolto gli articoli da lei scritti sul “Monitore Napoletano”, “La Sanfelice” di Alexandre Dumas e “L’amante del vulcano” di Susan Sontag: nel capitolo finale Eleonora parla da morta, è molto emozionante.

La costruzione a tre della drammaturgia?

C.B.: Il teatro offre sempre la possibilità di svilupparsi nel confronto, passare costantemente dalla scrittura alla scena dà l’opportunità di entrare in gioco con una pluralità di voci. Poi il lavoro si è andato sviluppando tra me e Nunzia, che abbiamo scelto di avere posizioni molto distinte, io dalla platea a fare il regista e lei sul palcoscenico. Il racconto si evolve nello stretto spazio del patibolo prima dell’esecuzione e, come si racconta che succeda, alla fine della vita ad Eleonora scorre davanti tutta la sua storia.

Come ha dato anima e corpo a questa figura?

N.A.: Come sempre, quando scelgo un personaggio, me ne sono subito innamorata. Ho trovato delle somiglianze molto forti con lei: la passione per la vita, ma soprattutto per la libertà, la democrazia, i diritti per tutti, e poi l’amore per Napoli, e anche alcuni aspetti della vita privata. Insomma, ho sentito una vicinanza, e quindi ho lavorato cercando di far entrare in me questa donna; mi sono resa trasparente, per farla vivere.

C.B.: Le azioni sono molto contenute, ma il loro itinerario è fitto. Non abbiamo lavorato su un’immedesimazione: si tratta di assentarsi, trovare nel corpo e nel suo agire il veicolo più semplice per far passare le emozioni. Come in genere facciamo, abbiamo pensato a una lingua che andasse diretta al cuore, puntiamo molto al fatto che ci sia una commozione della platea, cioè un muoversi insieme. Cerchiamo di allargare la prospettiva a una comunità che dentro un teatro si possa incontrare e confrontare.

La vostra esperienza teatrale?

N.A.: Io e Carlo ci siamo incontrati a Santarcangelo di Romagna, però siamo tutti e due pugliesi. Ho vissuto a Roma per tredici anni, piano piano mi sono avvicinata al teatro di ricerca e ho studiato per molto tempo danza; con Giancarlo Sepe ho fatto “Ballando Ballando”, e portandolo in Puglia ho ritrovato Carlo, che a Bari dirigeva il Kismet, teatro stabile d’innovazione. “Lenòr”, così fortunato, lo abbiamo recitato in inglese, francese e tedesco, siamo stati in Australia, Giappone, Olanda, e questo mi ha riportato molto felicemente in Puglia, dove con il Governo Vendola della Regione c’è stata una rivoluzione culturale, con investimenti molto importanti, sono nati teatri abitati e quindi tante produzioni: quest’anno sto girando appunto con quattro di esse. Tra gli altri lavori c’è “Else” di Arthur Schnitzler, con la regìa di Carlo, sarà a Napoli col sostegno di una fondazione antiusura che sta nascendo.

Come per altri esempi nel Meridione dell’Ottocento italiano, quali furono la cause del fallimento di quei moti?

C.B.: Credo che il problema fondamentale sia la cultura, nonostante in genere ci sia stata una frangia colta, anche ricca, disposta ad abbandonare le proprie protezioni per un cambiamento. È l’essere consapevoli e avere una cultura, che non significa erudizione, ma il poter ragionare con la propria testa. Si tratta di capire più a fondo quali siano i nostri elementi identitari, e coltivarli con cura. In Puglia, ad esempio, a partire dall’esperienza del cinema di Edoardo Winspeare, si è recuperato un orgoglio regionale, una radice preziosa, una straordinaria leva di trasformazione.

(*) Per info e biglietti: Teatro Tordinona

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:24