In morte dello...   spettacolo dal vivo

Nei giorni scorsi il Teatro Argentina di Roma ha presentato alla stampa, intervenuta numerosa per l’evento, un consuntivo triennale delle sue attività per il periodo 2014-2016. L’occasione è stata dettata, in particolare, dalla scadenza dell’attuale Consiglio di amministrazione (che, per amore di trasparenza voluta dal sindaco Virginia Raggi, verrà rinnovato attraverso una non meglio specificata “gara pubblica”, sul modello milanese), presieduto da Marino Sinibaldi. All’incontro, oltre al direttore Antonio Calbi e al presidente, hanno partecipato l’assessore regionale alla Cultura Lidia Ravera e l’assessore comunale alla Crescita culturale, Luca Bergamo.

Per l’occasione, in riferimento al triennio, sono state illustrate le statistiche dei più volte rivendicati successi della gestione amministrativa e artistica in scadenza, con particolare riferimento al considerevole incremento delle alzate di sipario (+ 400 per cento), degli eventi culturali (+ 186 per cento), del coinvolgimento della società civile e, infine, del pieno impiego della struttura e delle maestranze teatrali, suddivise nei due complessi dell’Argentina e dell’India. Anche i ricavi al botteghino sono cresciuti in media del 25 per cento e la vendita on-line è aumentata del 54 per cento, con forte incremento di abbonati (+ 137 per cento), card libere (+ 265 per cento) e di quelle under 18 (+ 177 per cento). Anche se, a onor del vero, nel 2016 il Teatro di Roma ha perduto circa 30mila spettatori rispetto all’anno precedente.

I “peana”, in merito, sono quelli che da sempre circolano nell’ambito del teatro dal vivo: il mancato accesso paritario al finanziamento pubblico di ministero, ente regionale e Comune. Con una certa sorpresa, l’assessore Bergamo ha voluto affrontare sul piano amministrativo l’annosa questione del teatro forse più famoso d’Italia: il Valle, occupato per lunghi anni e ridotto in condizioni tali da dover essere ristrutturato integralmente, anche in ragione del suo necessario adeguamento alle vigenti normative di sicurezza. La circostanza sconcertante è che i ritardi imperdonabili con i quali si sta procedendo al tutto riguardano questioni amministrative che ritenevamo scontate, del tipo: “Di chi è il Valle?”. E ancora peggio: i dirigenti amministrativi del Comune di Roma sono letteralmente paralizzati e intimoriti dal controllo incombente dell’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone, a causa del proliferare di norme che nessuno sa gestire a livello di provvedimenti. Del tipo: “Quale articolo, comma e legge debbo applicare in questo caso?”. Quindi, come al solito (invito un po’ tutti, in merito, a rileggersi “Capitale infetta”, agghiacciante libro-testimonianza dell’ex assessore alla Trasparenza della Giunta Marino, Alfonso Sabella), si arriva puntualmente alla somma urgenza, in modo da procedere con rito abbreviato per la scelta a trattativa privata del contraente.

Bergamo e il Movimento 5 Stelle invece di lamentarsi dovrebbero porsi il ben più importante dilemma di come si seleziona la dirigenza amministrativa locale e come si deve fare per licenziare tempestivamente personale incapace e infedele! Poi bisogna un po’ domandarsi se sia lecito, o meno, per non far morire lo spettacolo dal vivo (e quindi uccidere nella culla gli artisti più meritevoli), introdurre anche in questo ambito sane regole di mercato che evitino come la peste il “todos caballeros” del riconoscimento diffuso (come accade qui da noi) di teatri nazionali che altrove - vedi in Francia - non sarebbero mai riconosciuti tali.

Siccome l’invasione dialettica di Bergamo ha impedito ai colleghi di fare domande interessanti, mi si consenta di fare alcune osservazioni per iscritto. In primo luogo: che s’ha da intendere per “produttività e mercato dello spettacolo dal vivo”? Secondo me, un parametro accettabile è quello che si utilizza per l’export. Ovvero: quanti degli spettacoli autoprodotti hanno circolato a livello nazionale e quanto hanno guadagnato complessivamente tra botteghino e sponsorizzazioni?

Secondo: a partire dal punto precedente, una volta stilata la classifica triennale a livello nazionale in base al parametro di cui sopra, chi risulterà tra i primi della sua classe, per ordine di grandezza, avrà diritto (in modo proporzionale ai ricavi totali della sua produttività) a vedersi riconosciuto un contributo pubblico qualificato. Così, facendo prevalere il “mercato” e il giudizio del pubblico sarà molto più facile capire chi merita e chi no. Altre idee in proposito?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:23