Cinquecento anni dopo le tesi di Lutero

Il 2017 segna la ricorrenza dei cinquecento anni dall’inizio della Riforma Protestante. Un avvenimento che ha cambiato non solo il contesto religioso, ma la società nel suo complesso.

Molte saranno le occasioni di discussione su un argomento intorno al quale la ricerca, lo studio e il dibattito non sono mai finiti. Perché la Riforma non ha inciso solo sul rapporto tra Dio e l’uomo, o tra il fedele e la Chiesa. Ma la sua potenza si è riversata in tutti i meandri della vita sociale: dalla politica all’economia. Dalle arti ai rapporti e all’esercizio del potere. Con la Riforma, insomma, ha inizio il “Mondo Moderno”.

Il Protestantesimo non è, al suo interno, un monolite. Vi troviamo il Luteranesimo, il Calvinismo, l’Anglicanesimo, i Battisti, gli Avventisti, i Metodisti, i Pentecostali, la Chiesa Apostolica ed altri ancora. Le differenze non sono poche tra i vari gruppi. Ernst Troeltsch, uno dei più importanti studiosi della materia, nella sua opera “Il Protestantesimo nella formazione del mondo moderno” scrisse che “il luterano sopporta il mondo in croce, sofferenza e martirio, il calvinista lo domina a gloria di Dio in un lavoro senza tregua vista dell'autodisciplina insita nel lavoro e della prosperità che da questa disciplina del lavoro ridonda alla comunità cristiana”.

Max Weber, il più famoso studioso che ha messo in relazione protestantesimo e mutamento sociale, ci spiega ne “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, quanto, appunto, la Riforma abbia inciso nella formazione dell’economia capitalistica. Difficile approcciarsi a tale complessità. Soprattutto per chi ha solo una semplice e sana curiosità e non una specifica preparazione scientifica.

Un punto di partenza potrebbero essere proprio quelle 95 tesi di Martin Lutero, esposte sul portone della cattedrale di Wittenberg il 31 ottobre del 1517. Ed un aiuto potrebbe provenire da un libro edito da Garzanti dal titolo proprio “Le 95 tesi” di Lutero; con un’introduzione dello studioso di protestantesimo Domenico Segna (traduzione dal latino di Giuseppe Alberigo).

Non che leggere direttamente le tesi di Lutero sia cosa facile; ma è l’introduzione di Segna a darci le coordinate, attraverso un racconto semplice. E che si muove tra la biografia del padre della Riforma, il contesto storico e sociale dove si svolgono i fatti, la spiegazione delle tesi più importanti e deflagranti del monaco agostiniano. Con alcuni “agganci” filosofici, resi accessibili da una narrazione che vuole fare dell’ampia divulgazione il suo fine principale.

È ovvio che il nome di Lutero sia legato alla lotta contro le indulgenze della chiesa cattolica del tempo. Uno dei ritornelli preferiti dai domenicani era: “Appena la moneta tintinna nella cassa, l’anima dal Purgatorio passa”. Insomma, c’era un “tariffario” per la salvazione. Un “do ut des” che non poteva, secondo il monaco agostiniano, garantire alcuna salvezza di fronte a Dio.

Lutero “rivoltò” la cristianità, suo malgrado, quando un giorno si trovava nella torre (Esperienza della Torre) e rifletteva sull’Epistola ai Romani di Paolo. La sua attenzione si focalizzò sul passaggio “Il giusto vivrà solo per fede”. E da lì cambiò, è il caso di dirlo, il corso della storia del mondo, perché è questo il “cuore pulsante della Riforma”, come Segna ci ricorda.

Lutero apparteneva alla corrente “Moderna” della Scolastica Medioevale e non accettava alcuna giustificazione “pattizia” della salvezza. Come Agostino, riteneva che la salvezza fosse indipendente dalle opere dell’uomo, ma dipendesse solo da Dio.

Da questo momento in poi, dice Segna, “i credenti sono sciolti dal capestro del peccato, possono tornare a vita”. Perché la “grazia”, sostanza soprannaturale che Dio infonde nell’anima degli uomini, può sempre rendere possibile la redenzione. Anche di un “peccatore”. È un dono immeritato, gratuito, immotivato da parte Dio. Il quale dono si giustifica solo per fede.

Lutero non considererà più la “Iustitia Dei” come un attributo divino di imparzialità. Non esiste un “Dio equo e contabile” che giudica in base a presunti meriti. Dio, per Lutero, dona ma non giudica. Nessun uomo può, nonostante opere e comportamenti, essere in grado di salvarsi da solo. Altrimenti è come se si riconoscesse all’uomo la possibilità di contrattare con Dio, che è onnipotente, perché non ha alcun vincolo con nessuno.

È evidente come questo nuovo approccio teologico sia una rottura totale con le concezioni cattoliche. Il Purgatorio perdeva ogni fondamento biblico. Veniva colpita la pratica delle indulgenze, perché non c’è opera sufficiente a potersi guadagnare la salvezza. Ma, soprattutto, ne usciva ridimensionato il ruolo della Chiesa. Ruolo, fino a quel punto, di “dispensatrice” di perdono. In un contesto dove i Papi si arrogavano il diritto di concedere l’assoluzione plenaria, tanto da trasformare la sofferenza per l’espiazione del peccato (contritio), in una semplice dazione di denaro.

Nella tesi n. 75, Lutero afferma: “Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere un uomo, anche se questi, per un caso impossibile, avesse violato la madre di Dio, è essere pazzi”.

Nasce una nuova concezione dell’etica (tesi da 45 a 52) da attuarsi in ogni istante della vita cristiana, che sarà tipica del mondo derivato dalla Riforma. Etica con cui si indicherà il compito, anche professionale, che ogni uomo riceve da Dio stesso, e che si esercita nel posto che occupa nella società, negli ordini di creazione (famiglia, lavoro, Stato e Chiesa).

Lutero non voleva rivoluzionare la Chiesa. E, come fa ancora notare Segna, non era di per sé contro le indulgenze. Ma era contro la loro spropositata applicazione; ovvero, contro il loro cattivo uso. Voleva una Chiesa che tornasse ai piedi della croce. Ma, forse suo malgrado, ha cambiato il mondo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:22