Soundreef non è  un “fuoco di paglia”

Il presidente della Siae, Filippo Sugar, aveva definito così la società fondata dal 38enne Davide D’Atri, quando si è visto abbandonare da Fedez e Gigi D’Alessio tra aprile e maggio dello scorso anno.

Due dei più grandi nomi della musica italiana hanno affidato la gestione dei loro diritti d’autore a Soundreef, società nata nel 2011 con sede a Londra ma con una proprietà anche italiana. Investendo in tecnologia e trasparenza, che consentono una ripartizione dei diritti più veloce, Soundreef in pochi anni ha raccolto migliaia di iscritti: 8mila artisti italiani e 25mila nel mondo. Una società che è di ispirazione a tanti, compresa la Siae, l’Ente pubblico a base associativa che da 134 anni si occupa di protezione, esercizio ed intermediazione del diritto d’autore (nel suo consiglio direttivo sedevano Giuseppe Verdi e Giosuè Carducci), e che ha iniziato ad apportare dei cambiamenti nelle offerte, per esempio inserendo anch’essa i dati on-line. A dimostrazione che la libera concorrenza consente a tutti di migliorare. Questo si deve alla presenza della Direttiva Barnier 2014/26, con cui la Comunità europea ha apportato cambiamenti alla gestione del diritto d’autore, dando il via alla competizione fra le società di collecting che operano in Europa e alla conseguente divisione fra i sostenitori del monopolio di Siae e chi è a favore della libera concorrenza. Anche il ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, ha dichiarato che “va fatto un lavoro urgente di profonda riforma della Siae” per adeguarsi e competere in modo sano.

Davide, Soundreef è un’azienda inglese che ha una proprietà italiana e che è stata costituita in Inghilterra. Come mai nel 2015 è stata acquistata dalla Soundreef società per azioni?

Ci tenevo che la proprietà diventasse italiana, ciascuno deve fare la sua parte. Noi abbiamo fatto un’operazione al contrario, cioè una società straniera ha acquistato quella italiana. È stata costituita in Inghilterra perché subito dopo la scuola, a 19 anni, mi sono trasferito in Inghilterra come l’altro cofondatore che ho conosciuto lì, Francesco Danieli. Nel 2011 eravamo ancora residenti in Inghilterra, quindi fu normale per noi costruire la seconda azienda lì.

Altri italiani potrebbero realizzare lo stesso progetto in Italia o no?

Non ancora. Quando abbiamo iniziato lo abbiamo fatto in modo molto anglosassone. Il nostro pensiero era molto semplice. Le opere sono nel nostro controllo, di conseguenza non c’è nessun altro che può vantare diritti su queste e noi le vendiamo in tutta Europa. Se non vi sta bene, fateci causa! Le vendiamo in tutta Europa in base al semplice ragionamento che all’interno della Comunità europea il mercato è libero. Anche se ci fosse una specifica legge nazionale che potesse impedirci di fare questa attività dall’Inghilterra, comunque sarebbe superata dalla Direttiva Barnier. Ho studiato Economia a Londra e ho fatto tanti lavori. Da studente ero molto interessato all’antitrust. Però non capivo come mai sui libri le prime due regole dell’antitrust sono: non puoi metterti d’accordo sui prezzi e non ti puoi dividere i territori. Poi ho guardato in Europa e ho trovato 27 società che si erano divise 27 nazioni. Il monopolio reale esiste solo in Italia. Nel resto d’Europa esiste un monopolio de facto e quindi mi dicevo che era impossibile, com’è questo mercato? Poi lavoravo contemporaneamente nel settore della musica, nel 2005 ho creato la mia prima azienda e nel 2011 abbiamo lanciato Soundreef. Ma per più di dieci anni ho studiato questo settore. Quando ho capito che il mercato era ormai maturo, ho lanciato Soundreef.

Nessuno ha avuto prima questa intuizione?

No, siamo stati i primi in Europa e incredibilmente siamo ancora gli unici a fare questa attività di concorrenza con una società privata, fondamentalmente. Immagino che molto presto verranno altri concorrenti privati, ma al momento non ci sono.

Vam Investments e LVenture Group hanno investito nel tuo progetto, altri hanno avuto fiducia in te?

LVenture prima e Vam dopo. Vam è un veicolo di private equity, dietro Vam ci sono molti industriali italiani importanti che investono attraverso questa società. Infatti, quando in aprile abbiamo scritto una lettera al premier Matteo Renzi, l’hanno firmata 300 imprenditori che contano.

Perché scegliere Soundreef invece di Siae, cosa avete ed offrite di meglio?

Ci distinguono tre valori fondanti: qualsiasi ripartizione deve essere analitica, cioè, è possibile tecnicamente pagare per ciò che effettivamente è stato suonato, senza forfettario, senza criteri statistici, fino al 90 per cento del mercato. Poi la tracciabilità della rendicontazione: devo poter andare sul conto corrente on-line e vedere esattamente come ho guadagnato quei soldi dalla televisione, dalla radio. Infine, rendicontazioni e pagamenti superveloci. Noi per i concerti rendicontiamo a sette giorni dal concerto e paghiamo entro novanta giorni. Il tradizionale paga a 12 o 24 mesi.

Per pagare “analiticamente” bisogna però confrontarsi con la Siae. Il presidente Sugar ha detto che non avete una rete “capillare” che consenta questo, ci vuole sempre un tramite. Allora utilizzate i loro strumenti e il loro personale, come fanno i principali gestori di telefonia mobile con le altre società di telefonia fornendo le antenne, o no?

Noi usiamo completamente un altro sistema: bisogna dividere l’attività del recupero delle informazioni dall’attività di riscossione, sono due cose completamente diverse. Per il recupero delle informazioni bisogna andare dall’utilizzatore e chiedergli come ha utilizzato la musica; questa è l’attività più importante in assoluto, perché è la parte più trascurata fino ad ora. Non è stato investito per innovare e apprendere le informazioni velocemente e in modo trasparente, lì il sistema è carente e allora si ripartisce male. Una vera attività di riscossione che potrebbe fare chiunque, anche Equitalia, ti invierebbe dall’utilizzatore, gli devi dare per esempio mille euro per una licenza. Dopodiché le aziende smerciano le informazioni con i mille euro e ripartiscono come vogliono. Le informazioni devono essere libere, tutti devono poter chiedere a tutti senza intermediari. Mentre la riscossione si può benissimo lasciare a Siae, perché se c’è una cosa che sa fare bene la Siae è farsi pagare, e prezzare alto. La raccolta si lascia a Siae, ma aggiungiamo delle condizioni: un decreto che le imponga regole come nelle telecomunicazioni. Determinati costi e tempi precisi per restituire i soldi entro 30 giorni e applicare un agio al 3 per cento, controllare eventuali abusi e il territorio. La parte più interessante però resta quella delle informazioni, ma come si fa ad ottenerle? Sugar parla con slogan che fanno capire tutto il suo timore. Lui dice che serve una struttura capillare, ma è una grossa falsità. Dobbiamo capire le varie classi di utilizzo, innanzitutto radio e televisione. Dove sta questa capillarità? I broadcast televisivi sono 10 in Italia, quelli radiofonici sono una cinquantina, i più importanti, e qualche centinaio quelli meno importanti. Basta una mail, non devi andare a bussare dietro le porte come un ispettore.

Quindi è una furbata fuorviante della Siae?

Per radio e televisione si fa così, poi per il “live” c’è un borderò elettronico, non devi andare lì con l’ispettore. Per la musica di sottofondo - quelle che si usano negli esercizi commerciali, il settore col quale abbiamo iniziato - hanno circuiti chiusi, per cui si analizza esattamente cosa viene suonato. È tutto digitale. Cosa rimane fuori per cui Sugar ci si aggrappa? I piccoli esercizi, il piccolo bar, il piccolo ristorante. Ma non si può assillare un piccolo bar con mille licenze, non è neanche giusto. Ciò che rimane di questo a Siae è circa il 10/15 per cento di tutto l’utilizzo musicale.

Cosa succederà dopo il tuo suggerimento di apportare due modifiche allo schema di decreto durante l’audizione alla Commissione Cultura della Camera del 17 gennaio scorso?

Noi abbiamo sempre pensato, da quando abbiamo iniziato a lavorare in questo settore, che mai vorremo essere dipendenti dalla politica. Abbiamo sempre immaginato che questo fosse un settore molto vicino alla politica. Quindi abbiamo immaginato una struttura aziendale che potesse sopravvivere ad eventuali battaglie della politica contro di noi. Non so se ci sia una battaglia contro o no, ma so che vediamo la battaglia politica come un’opportunità, di contribuire ad una buona legge e alla possibilità di far crescere il nostro business. Qualora dovessimo perdere la battaglia politica, noi continueremo come è sempre stato. Qual è l’intenzione della politica italiana, quella di far chiudere le società dei giovani in favore delle vecchie società? L’opera è una proprietà privata. Ci stanno concedendo qualcosa, perché si sono resi conto che noi abbiamo preso un catalogo molto importante di opere, parliamo di 8mila autori italiani, quindi se tu non compri una di quelle licenze da Soundreef quel brano non lo puoi usare, se lo usi fai un illecito civile e penale. Abbiamo già denunciato l’Auditorium perché hanno fatto tre concerti con nostri artisti e non hanno pagato.

A Sanremo avrete quattro brani in gara, che succederà e come si comporterà la Rai?

La legge è molto chiara, dovranno ottenere una licenza, altrimenti non potranno utilizzare i brani. Qualsiasi avvocato può spiegare questo. A prescindere dal monopolio o no, non si può utilizzare un’opera senza una licenza. Siccome la Siae questa licenza non gliela può più vendere, in quanto quegli autori di quelle opere non sono più iscritti Siae, i brani sono senza licenza. Chi li usa senza licenza incorre nel penale e nel civile.

Chi la dà allora questa licenza?

Noi ovviamente, se ci pagano (sorride). I due Capodanni più importanti d’Italia li abbiamo fatti noi, con due nostri autori, Fedez e Gigi D’Alessio. Gli organizzatori hanno regolarmente pagato la licenza. Senza la licenza non si poteva fare il concerto!

Fedez e D’Alessio sono due visionari, hanno visto qualcosa in voi, non si possono classificare come quell’italiano medio che tiene il vecchio certo per il nuovo e l’incerto.

Sono due autori molto diversi tra loro ma in comune hanno uno spiccato senso del business, una capacità manageriale che tanti altri non hanno, e soprattutto hanno guadagnato veramente la loro indipendenza dall’establishment in generale. Sono molto sereni nelle loro scelte, hanno visto che servizi avevano in Siae e noi abbiamo fatto vedere cosa avrebbero avuto da noi e, dando loro determinate garanzie, hanno fatto la loro scelta. Come hanno fatto anche altri importanti autori.

Che tipo di accordi fate con gli artisti, c’è differenza con gli autori stranieri?

Le condizioni e gli accordi sono tutti simili, ci sono degli accordi standard. L’unica cosa è che i più noti possono chiedere dei limiti garantiti. Siccome questo tipo di autore può fare centinaia di migliaia di euro di conto, si gioca grosse cifre e noi chiediamo il rendiconto degli ultimi tre anni in Siae, facciamo una media, e noi gli garantiamo il 60/70 per cento della sua media, così si abbassa il rischio e loro stanno più tranquilli. Anche la Siae può chiedere all’inizio dell’anno fino all’80 per cento del rendiconto in anticipo.

Come fa un artista che magari si autoproduce a far diffondere la sua musica negli stores? Parlaci del network radiofonico per musicisti indipendenti.

Abbiamo fatto crescere con attenzione questo settore e ne siamo molto orgogliosi. L’ambito era troppo grande per fare tante royalties tutte insieme, perché dovevamo individuare una nicchia per iniziare e trovammo la musica di sottofondo. Si fanno contratti importanti, le catene di negozi pagano e scoprimmo che il network faceva loro dei prezzi altissimi ma non ripartiva bene con autori ed editori, perché non chiedevano loro cosa avessero suonato (ad Auchan, a Coop), quindi c’era un altro tipo di ripartizione, secondo altri criteri del Consiglio di amministrazione di Siae. Questo è un settore stranamente ricco, vale più del doppio di Internet. A livello europeo le royalties che riguardano l’on-line valgono un miliardo e duecento milioni di euro; in Italia valgono 90 milioni di euro. Sono cifre abbastanza importanti. Così abbiamo creato un network di musica indipendente, per svuotare gli stores di quel tipo di musica non conteggiata e abbiamo proposto di mettere musica di grande qualità, selezionata da noi. Dal 2011, Soundreef ha concesso decine di migliaia di autorizzazioni a diffondere musica negli esercizi commerciali di oltre venti nazioni. Gestiamo un importante e selezionato catalogo di oltre 150mila pezzi e le grandi catene ci hanno seguito. Abbiamo più di 40mila punti vendita solo in Italia. Così si è creato un network radiofonico di musica indipendente.

Come riuscite a pagare entro 90 giorni se la Siae ci mette un anno o due?

Loro non ci mettono un anno o due per problemi tecnici, bisognerebbe chiedere a loro, ma è una loro decisione di pagare non in tempi brevi. Cosa ci fanno con i soldi, non lo so. La Siae ha 280 milioni di euro in immobili, cosa ci fanno? Come li hanno comprati? Soprattutto, i proventi che vengono generati da questi immobili, o i proventi di altre operazioni finanziarie, sono distribuiti con gli autori ed editori? Se lo sono, come sono distribuiti? Nei rendiconti Siae non c’è niente di tutto questo.

Come proteggete dal plagio i vostri autori?

Non ce ne occupiamo direttamente noi, perché abbiamo una partnership con una società spagnola molto grande che fa proprio il deposito dell’opera, “Safe creative”. Quando ci si registra a Soundreef depositi anche da loro gratuitamente e hai la prova della paternità.

Mi dici del tuo primo figlio, Beatpick. È la prima società che hai fondato in Inghilterra?

È la prima società che ho fondato con Francesco Danieli undici anni fa, vende musica per la pubblicità, il diritto di sincronizzazione. Quando un’azienda fa uno spot e mette la musica ha bisogno di comprare il diritto di sincronizzazione, che non è un diritto che la Siae gestisce, perché è un diritto sempre privato. Siccome nel 2005 queste operazioni riguardanti questo diritto erano sempre un po’ complicate, bisognava chiamare l’avvocato. La musica indipendente era parecchio tagliata fuori per la complessità dell’operazione. Il 70 per cento delle musiche utilizzate nei film o nelle pubblicità non sono brani famosi, così abbiamo creato una libreria di musica indipendente dove si poteva comprare la licenza ad utilizzare il brano. Si risponde ad alcune domande e viene fatto un preventivo, se lo accetti viene stipulato il contratto e puoi pagare con bonifico o carta di credito, tutto on-line. Siamo stati i primi in Europa a fare questo nel 2005, adesso il mercato è invaso da società che ripropongono la stessa cosa. Forse lo fanno anche meglio di noi.

La prossima sfida?

Prima devo risolvere il problema delle royalties, poi se vuoi saperlo mi interessano due cose su cui mi concentrerò verso i 40/50 anni: il nutrizionismo e l’immigrazione. Mi piacerebbe fare dei progetti di business sostenibile in questi due settori.

@vanessaseffer

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:31