Un grande Herlitzka è Minetti all’Argentina

Minetti-Herlitzka: l’anima e il corpo. Fino al 29 gennaio va in scena al Teatro Argentina di Roma “Minetti - Ritratto di un artista da vecchio”, di Thomas Bernhard, per l’interpretazione (imperdibile!) di Roberto Herlitzka e la regia di Roberto Andò.

Lo spettacolo è una trasposizione scenica dell’animo dell’Autore: quel Bernhard malato che scandalizzò l’Austria con le sue opere e restò fedele per tutta la sua vita a una donna di 35 anni più anziana di lui. Minetti è un attore effettivamente esistito, il più famoso dei suoi tempi (che scorrono attraverso tutto il XX secolo) e letteralmente adorato da Bernhard. Ma l’opera è una sorta di teatro di “complessità due”, ovvero del teatro nel teatro, in cui diviene un esercizio complesso e inestricabile capire quali siano i diaframmi tra gli spazi scenici e quelli dell’ascolto. Minetti entra in un grande albergo assediato da una bufera di neve (e qui sorgono inquietanti echi con Rigopiano), avvolto da un turbinio di personaggi minori, fugaci ombre cinesi spalmate come pitture schiacciate in un rumoroso vano dell’ascensore e lungo il corridoio della hall che porta a un fantomatico salone delle feste. Tutti indossano maschere perfettamente bianche, come quella del Re Lear scolpita da Ensor per Minetti. Passivi sono i personaggi che fanno da spettatori sulla scena, con debolissime o nulle interazioni con il maestro, ormai molto anziano, costretto a trascinare una pesante valigia fino all’hotel, per onorare un appuntamento fantasma con un impresario evanescente.

Così, tutto è diario, monologo, introspezione di una vita vissuta all’ombra possente del teatro teatrante, in cui un personaggio troppo forte (il Lear più volte misurato da Herlitzka nei versi shakespeariani in lingua originale) è gorgo e valanga, che svuota e colma l’interiore di chi lo pronuncia, con la stessa identica violenza di un possente moto naturale, in cui l’uomo nulla può per controllarne gli effetti devastanti. Perché l’attore è “uno” solo se rinuncia a esserlo; solo se la sua apparizione e sostanza permanente vibra, contamina la platea, facendo trasalire l’osservatore colto e ignaro.

E l’Attore è tutto una sequenza di riti interni, come quello della recitazione integrale del Lear ogni 13 del mese davanti a uno specchio muto. Oppure l’abitudine parossistica alla ripetizione di pochi versi della stessa opera shakespeariana recitati ogni giorno, come una medicina quotidiana salvavita per la cura di una malattia cronica, dove il rifiuto ragionato per la classicità dei testi teatrali diviene una metodica maniacale asservita al loro studio ossessivo. Un cancellare per un continuo riscrivere. La sovrascrittura è telaio e materia fluida: struttura e ricopre. Come un moto ondoso farebbe su di uno scoglio emergente, levigandolo all’infinito perché la sua materia sia sempre più lucida: le vene della fronte sono tante linee curve colorate sulla roccia dell’incomprensione totale, che circola come linfa malata nel circuito perenne Autore-Autore-Astante. Bello e complicato. Come la vita stessa.

(*) Per info e biglietti: Teatro di Roma

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:36