Spencer, “L’uomo contro lo Stato”

“L’uomo contro lo Stato” (Liberilibri, Macerata 2016, pagine 295, Euro 20). Herbert Spencer, dopo essere stato considerato, “il massimo filosofo moderno” (come scrive Alberto Mingardi nella accurata introduzione) ed aver influenzato anche campi del pensiero non contigui alla filosofia ed alla scienza (ma fu anche un sociologo acuto), come quello giuridico, cadde nel dimenticatoio. Ciò non è solo frutto dell’avvicendamento delle “mode” nell’opinione, anche culturalmente attenta; ma piuttosto del declino del positivismo e dell’affermarsi delle nuove filosofie del XX secolo, in genere connotate da un deciso antipositivismo: attualismo, vitalismo, marxismo.

Tuttavia, all’epoca a lui contemporanea anche il giovane V.E. Orlando dedicava uno dei suoi più interessanti saggi giovanili al pensiero politico-istituzionale del filosofo inglese traendone spunti di grande interesse, tuttora attuali. E all’uopo è utile ricordare di questo libro le considerazioni di Spencer che avrebbero – sviluppate anche in altre opere – influenzato il giurista siciliano. Scrive Spencer nello scritto giovanile The Proper sphere of Government, pubblicato nel libro assieme a The man versus the State: “Ogni cosa in natura ha le sue leggi. La materia inorganica ha le sue proprietà dinamiche, le sue affinità chimiche; la materia organica, più complessa, più facilmente deperibile, ha anch’essa dei principi che la governano. L’uomo, in quanto essere animato, ha delle funzioni da svolgere e degli organi che le compiono; egli ha degli istinti cui obbedire e i mezzi per obbedire. Ciò che vale per l’uomo individualmente, vale per la società. Non diversamente dal singolo uomo, la società ha senz’altro dei principi che la governano. Tutt’intorno a noi non vediamo nulla che non sia soggetto alle regole immutabili dell’Onnipotente: perché mai la società dovrebbe fare eccezione? Osserviamo inoltre che essere dotati di libero arbitrio rimangono sani e felici, fintanto che agiscono in accordo con tali regole; e perché non dovrebbe essere vero per l’uomo nella sua organizzazione sociale? Una volta chiarito questo punto, ne consegue che il benessere di una comunità dipende da una profonda conoscenza dei principi sociali e dall’obbedienza più assoluta ad essi”.

Quindi la capacità umana di modellare reggimenti politici è limitata dalla conformità o meno di questi alle leggi, non solo fisiche, ma anche sociologiche, e del pari, l’articolarsi delle forme politiche in più organi – variamente composti, è “una struttura primitiva, la più elementare forma di governo, presente in società umane le più lontane e disparate”, frutto quindi di leggi e di esigenze fattuali (sosteneva Orlando). Come scrive Mingardi nell’introduzione, “un’idea politica e al pari di essa, un insieme di istituzioni non è l’esito di un progetto razionale: il singolo non decide di essere questo o quello. Per Spencer, gli individui sono più o meno adatti a un certo modo di regolare gli affari pubblici a seconda di fattori esogeni rispetto a quello spesso modo di regolare gli affari pubblici. Siccome i caratteri delle unità determinano il carattere dell’aggregato, “le istituzioni politiche non si possono efficacemente modificare prima che vengano modificati i caratteri dei cittadini”. Questo non significa che le idee politiche diffuse siano solo una “sovrastruttura” dell’assetto ad esse soggiacente: semmai, anzi, “tutte le istituzioni (sono) il prodotto del carattere di una nazione”. Lo Stato esiste “non per regolamentare il commercio; non per insegnare la religione; non per gestire la carità; non per costruire strade e strade ferrate; ma semplicemente per difendere i diritti naturali dell’uomo; per proteggere la persona e la proprietà, per prevenire le aggressioni del forte ai danni del debole. In breve, per amministrare la giustizia”. Ed è questa, cioè la protezione (concreta, non solo astratta) data ai cittadini, ai loro diritti fondamentali e quindi alla concreta possibilità di vivere (e ben vivere) la ragione dell’esistenza dello Stato (e di ogni altra sintesi politica). Le stesse esigenze sociali sono, in parte, mutevoli. “La stessa natura astratta umana non è astratta, rigida e statica ma cangiante, e pertanto «non permette di fissare una volta per tutte, un modello universale di felicità”. Le nostre imperfette istituzioni sulla giustizia debbono essere messe a confronto con ciò che possiamo dedurre dalle leggi naturali che governano l’evoluzione.

Per questa ragione la dottrina etica di Spencer è bipartita: divisa fra un etica “relativa” e una etica “assoluta”. Già in Social Statics Spencer ritiene che “l’adeguatezza delle istituzioni dipende dalla natura dei cittadini”. Con buona pace di quelli che ritengono la Costituzione italiana attuale “la più bella del mondo” e quindi immutabile, immodificabile, eterna come le tavole consegnate a Mosè da Dio sul monte Sinai. La conseguenza è che, come riteneva Orlando, nel concordare con le tesi di Spencer: “Bisogna che l’uomo rinunzi una buona volta a certe illusioni sulla onnipotenza della sua volontà. Le leggi sociali come le leggi fisiche, hanno una forza tutta propria, sono un portato affatto naturale cui la volontà umana non può che conformarsi. Elles ne se font pas, elles poussent”. Per cui tante costituzioni meno “belle” sono durevoli ed altre, esteticamente più attraenti, effimere o zoppe “Egli è perciò che tante costituzioni con grande sforzo d’intelletto e di ragionamenti messi insieme non hanno avuto che la vita di un giorno … ed al contrario altre costituzioni che alla più elementare critica non reggono, hanno potuto far grande un popolo”.

L’evoluzione è vista da Spencer “come processo di differenziazione (ovvero crescente specializzazione delle funzioni) e integrazione (cioè crescente mutua interdipendenza delle parti sempre più differenziatesi)”; “La legge del progresso organico è per Spencer ‘la legge di qualsiasi progresso’ spiega l’evoluzione di tutte le cose, non solo nelle scienze naturali ma anche nelle scienze sociali”. Considerazioni che hanno rilievo sociologico ed istituzionale evidente.

Malgrado l’interesse verso il pensiero di Spencer, manifestato anche dal titolo dell’opera, sia per il carattere liberal-liberista delle concezioni del filosofo inglese, ne suscita almeno altrettanto l’altro profilo, così apprezzato da V. E. Orlando, del rapporto tra situazioni e determinanti fattuali e forma politica. Che i liberali non hanno mai trascurato, né il liberalismo, ed in specie il costituzionalismo liberale, ha mai ritenuto che l’uomo fosse un essere perfetto e onnipotente, e neanche granché perfettibile, in grado di realizzare istituzioni perfette e perfino di farne a meno. Perché se così fosse, non sarebbero necessari né Stato, né potere, né controlli sul potere (come postulano i principi dello Stato borghese), e neppure mutamenti istituzionali. Mentre dopo il crollo del comunismo, fondato sulla possibilità (anzi sulla sicurezza e la necessità) di modificare e perfezionare natura (ed istituzioni) umane, il pensiero utopistico, al quale ben si adatta il giudizio di Mosca d’essere furberia da ipocriti o sogno degli sciocchi, si ripresenta - depotenziato - sotto le ideologie della tecnica, della morale, del diritto. Tutte fondate sulla sopravvalutazione di potenza e perfettibilità dell’uomo e sul non tenere conto della situazione concreta, delle regolarità del politico, né delle costanti sociologiche. E destinate a durare poco, ma finché durano a fare danni enormi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:32