Maddalena Fezza: dovere della memoria

Il Pontefice, durante la messa della notte di Natale, ha lanciato un’accusa forte al consumismo. Papa Francesco ha parlato senza mezzi termini di una mondanità che “ha preso in ostaggio il Natale”. Probabile che sia così, che il cortocircuito generatosi tra attaccamento alla tradizione e bisogno di benessere abbia risucchiato in un gorgo consumistico anche la più significativa festa cristiana. Tuttavia, nel pur giusto dovere di ammaestramento delle coscienze che spetta al primo pastore d’anime, bisognerebbe tener conto che la professione di fede nel Dio dei Vangeli è articolata in una molteplicità di manifestazioni e di pratiche, alcune discutibili ma molte altre degne di ogni considerazione. Basta solo cercarle e raccontarle.

Perciò, nel giorno nel quale si guarda lontano perché il “bambino della mangiatoia” ci interpelli, proponiamo una storia di fede, di devozione e di memoria che si compie nel cortile di casa nostra, proprio sotto il nostro sguardo distratto. Siamo a Pagani, un comune dell’entroterra settentrionale della provincia di Salerno. Cittadina di antichissime origini, oggi deve la sua forza economica alla commercializzazione delle produzioni agricole regionali e dell’intero Mezzogiorno d’Italia. Pagani è terra di contadini e anche di eroi: una consolidata ricostruzione storiografica vuole che Ugo de’ Pagani, leggendario fondatore dell’Ordine dei Templari, fosse originario di queste contrade e non della terra di Francia come si è sempre ritenuto. Ed è terra di speciale intensità della fede in Cristo. Chiese risalenti a diverse epoche storiche fanno di Pagani un gioiello dell’arte sacra. Terra di santi e di predicatori, Pagani è il luogo dove meno sia stata avvertita la saldatura tra il momento magico dei culti legati alla Madre Terra, risalenti alle epoche precristiane, e il cattolicesimo popolare che per radicarsi nella società avrebbe lasciato più di una porta aperta alle declinazioni superstiziose della devozione.

Com’è invece accaduto in molte parti del Meridione, dove il prevalere di sincretismi pagano-cattolici ha formato il riflesso ideologico in risposta a un difetto di “energia civile”. A Pagani capita qualcosa di sorprendente. C’è una pia donna vissuta in quelle terre durante il secolo XIX. Si chiama Maddalena Fezza. Di origini poverissime, Maddalena è malata e sofferente. Nonostante ciò la sua massima aspirazione è di donarsi al servizio di Dio. Ben presto la sua vita viene menomata dalla malattia che la costringe all’immobilità. Tra sofferenze atroci, temperate solo dalla fede a dalla devozione alla causa di serva di Dio, Maddalena riesce a sopravvivere in condizioni estreme per molti anni. Nel frattempo, non smette di curare il rapporto con un mondo in ascolto che sta oltre le mura dell’antico borgo di Pagani. Maddalena diventa esempio vivente di virtù eroica che dalla sofferenza fa scaturire non l’odio e il rancore, ma un grande sentimento di pietà. Il giorno della sua morte, l’8 aprile del 1887, al suo capezzale non ci sarà solo la plebe superstiziosa ma tutte le classi sociali accorreranno a testimoniarne la grandezza spirituale. Maddalena raggiunge l’Eterno mentre la sua orma terrena resta impressa nelle coscienze di coloro che l’hanno conosciuta.

Su impulso di figure eminenti della Chiesa del tempo, tra le quali quella di Tommaso Fusco, un altro predicatore paganese salito più tardi agli onori degli altari, viene avviato il processo informativo per la sua canonizzazione. Ma la prematura scomparsa di alcuni di coloro che avrebbero dovuto perorarne la causa presso le competenti autorità ecclesiastiche trascina nel dimenticatoio la storia della contadina che aveva illuminato di saggezza e di pietà il suo tempo. Passa più di un secolo e la vicenda di Maddalena Fezza riprende vita come fuoco covato a lungo sotto la coltre di cenere. Si riparla di lei e dell’opportunità di elevarla a significante spirituale per la comunità paganese. A chiederlo non è la voce sopra le righe di una religiosità tributaria del vincolo sincretico pagano-cattolico: niente isterismi collettivi, niente fascinazioni stregonesche connesse alla percezione di un soprannaturale archetipico infarcito di superstizione. A chiedere la ripresa dell’antica causa di canonizzazione sono intellettuali e voci autorevoli della comunità.

Ad animare l’iniziativa è un giornale locale, “Il Pensiero Libero”, che parla apertamente di “dovere della memoria” e di “diritto della conoscenza”. Si tratta di parole forti che abbiamo sentito evocare in ben più tristi circostanze, tuttavia il manipolo di ricercatori, a cui va ascritto il merito della riscoperta di una storia esemplare, punta a dimostrare che il binomio alternativo tra magia e razionalità, sul quale è stata edificata la civiltà moderna, possa essere superato da un’assunzione di consapevolezza del divino, rivelato non da un’intuizione mistica o da un evento provvidenziale ma da una prassi “eroica”, coltivata e maturata dal “basso” della vita vissuta nell’incrollabile fiducia di riscatto dell’umanità attraverso l’esercizio fattuale della comprensione e della pietà. Propriamente il paradigma di Maddalena Fezza. Da un punto d’osservazione laico l’iniziativa merita rispetto e sostegno. Come scrive Giovanni Pepe, stimato esperto di Storia locale: perché non “riprendere l’interrotto discorso, di dare giustizia a questa donna del popolo che meriterebbe di ascendere la gloria degli altari, per il grande amore mostrato a Cristo, per l’esempio di eroicità, e per la testimonianza di virtù cristiane palesate attraverso la sua carne tormentata”?

Appunto, perché non farlo?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:33