Gli “Orfani bianchi” delle badanti dell’Est

“Non è un romanzo basato su una storia vera, ‘Orfani bianchi’. Però è una storia verosimile. Con protagoniste, loro malgrado, le badanti dell’Est. Che in Italia sono una sorta di welfare per i nostri anziani. Anche se spesso sono guardate con indifferenza e con sospetto”.

Il libro è appena uscito in Italia edito da “Chiarelettere” ed ecco come ne parla lo stesso Manzini.

Come ci comportiamo noi italiani con le badanti dell’Est?

Una volta la storia di Mirta sarebbe stata classificata come “di frontiera”. Oggi devo dire, guardando le disavventure degli immigrati nel Continente europeo, si potrebbe parlare di vicenda drammatica, anzi tragica, ma di routine.

Senza lieto fine?

Per forza, che lieto fine ci si può inventare per una persona costretta dalla vita a vivere tra gli invisibili, facendo sacrifici di ogni tipo per tirare avanti?

Perché questa nuova avventura letteraria?

Questo libro è durato tre anni, una gestazione molto lunga, lo lasciavo da parte e poi lo riprendevo. Poi la storia degli “Orfani bianchi”, cioè quelli rinchiusi negli “Internat” della Romania e della Moldavia perché i genitori non hanno i soldi per occuparsi di loro e che vivono insieme agli orfani veri e propri , ho pensato che fosse da raccontare, non fosse altro che per far conoscere l’altissima percentuale di suicidi infantili che ci sono tra di loro.

È una storia vera?

No, ma verosimile. Purtroppo. In Romania e in Moldavia queste donne che vengono a fare le badanti in Italia e in Europa per i vecchi ricchi del nostro Continente rappresentano una specie di esempio di lotta di classe che si svolge però con i deboli che aiutano i ricchi.

Si parla anche di eutanasia...

Anche questa è una vicenda verosimile. Ci sta il rapporto tra questa ricca signora disperata italiana abbandonata dai parenti e che dipende da un’altra donna disperata come lei, perché povera e non perché abbandonata, e così si inserisce la richiesta di fare una cosa che non avrebbe il coraggio di chiedere né ai medici né ai figli.

Come a dire: lo chiedo alla badante perché so che lei non ha niente da perdere, la considero quindi meno degli altri...

Io non ci avevo pensato ma in fondo potrebbe essere vista anche così questa cosa, un riflesso pavloviano di egoismo che ti fa muovere alla badante l’ultima pretesa impossibile.

Chi è padre Boris invece?

Più che un prete un povero Cristo, uno che non può incidere sulla realtà in cui vive e opera; questi orfanotrofi io li ho conosciuti e sono poco meno che dei lager.

Classismo e povertà?

Sì, tutto sommato la cosa può essere vista così, anche se la disperazione alla fine fa da bilanciamento tra i due poli opposti di questa lotta di classe, magari inconscia.

Rocco Schiavone sta a Manzini come nella trama di “Misery non deve morire?”

Quel libro e quel film sono eccezionali e hanno rappresentato molto per la mia formazione culturale. In America, con tutti gli psicopatici che ci vivono, nelle tetre solitudini delle loro metropoli come delle periferie urbane e di quelle delle città di campagna, il problema dei fan molesti che ammazzano l’oggetto del loro desiderio, come è successo per John Lennon, è molto sentito e qui in Italia lo stiamo per fortuna scoprendo solo adesso. Ciò detto, nel mio caso nessuno dovrà tenermi prigioniero per obbligarmi a resuscitare il mio personaggio letterario, anche perché Rocco Schiavone non è mai morto e non prevedo di farlo trapassare nei prossimi romanzi che ne narreranno le gesta. Gli ammiratori di Rocco, ammesso che siano così folli, possono stare tranquilli.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:37