“Il Tradimento” secondo Rampini

Il mondo attuale è opera del Demonio? In fondo, fideisticamente, come dubitarne, leggendo l’ultima fatica di Federico Rampini “Il Tradimento - Globalizzazione e immigrazione, le menzogne delle élite” (Mondatori). E chi sarebbero i traditori? Le élite politico-finanziarie e intellettuali del mondo occidentale, ovviamente. Quelle del “politically correct” che adorano Hillary Clinton e odiano Donald Trump. Sempre loro che, dopo la Brexit e la vittoria del tycoon newyorkese, hanno riesumato dagli scaffali delle ideologie la famigerata teoria della “post-verità”, termine esoterico per dire che il popolo è solo populismo, facile vittima di coloro che ai fatti antepongono gli “animal instinct”, privilegiando l’emotività a danno della ragionevolezza. Perché la post-verità è quella pratica comunicativa che spaccia per autentiche notizie false e obiettivamente infondate: in pratica, un nuovo oppio dei popoli che mira a cancellare il ruolo di mediazione e di direzione delle leadership colte e illuminate.

In realtà (e la cosa sorprendente è che ad asserirlo sia uno dei più noti “opinion-maker” del giornalismo internazionale, con doppia cittadinanza italo-americana), l’accusa di Rampini di “tradimento” mossa alle leadership nazionali e mondiali dell’Occidente ribalta simmetricamente su di loro il ricorso allo strumento della post-verità! Non sono stati Trump, né Nigel Farage a mentire agli elettori scontenti ma, al contrario, le classi dirigenti responsabili di avere rimosso realtà quotidiane scomode e indigeste, che colpiscono duramente il tenore di vita della ex middle class e dei ceti operai pre-rivoluzione digitale e pre-globalizzazione.

Per esempio, quando si parla di terrorismo islamico c’è una tendenza a minimizzare - attraverso l’analisi sociologica - la componente religiosa fondamentalista, per cui gli jihadisti d’Europa, come quelli nati in Belgio nel quartiere musulmano di Molenbeek-Saint-Jean, sarebbero soltanto dei marginali, figure isolate. In realtà, fa notare Rampini, “la maggior parte di quei terroristi sono figli della piccola borghesia, benestanti, scivolati per colpe personali nella delinquenza comune, prima di trovare un alibi nel fanatismo religioso”: Molenbeek è tutt’altro che un ghetto e il Belgio non è uno Stato fallito, come si è cercato di accreditare in un’ottica “giustificazionista”.

Non si potrà mai integrare, del resto, chi vanta verso le nostre società del progresso un arrogante sentimento di superiorità morale e intellettuale, sostenuto da un odio feroce e da un razzismo alla rovescia. Piuttosto, faremmo bene a convincerci di non essere noi i responsabili dell’epocale fallimento delle classi dirigenti arabe e mediorientali che, una volta affrancatisi dal dominio coloniale e divenute padrone dei propri destini, hanno sperperato fortune immense, sottraendole al benessere delle loro popolazioni alle quali hanno negato pace, sviluppo e prosperità. Come mai oggi non si parla più di “popolo palestinese”? Forse perché (si interroga Rampini) quella comunità si è allineata con il movimento Hezbollah alleato con l’Iran sciita e, quindi, non interessa più di tanto all’avanguardia jihadista sunnita di Al Qaeda e dell’Isis? La società occidentale deve dire a se stessa, forte e chiaro, che la nostra visione del mondo (incardinata nella netta separazione tra Stato e Chiesa, nonché sulla parità tra uomo e donna e sui diritti civili) è del tutto incompatibile con quella di un Islam che ci vorrebbe riportare indietro di quindici secoli rispetto alle nostre conquiste sociali e di democrazia avanzata!

Uno dei passaggi chiave, che vale la pena citare integralmente, è il seguente: “Il discorso ‘politically correct’ imperante da decenni ci proibisce di usare aggettivi come ‘superiore’ e ‘inferiore’. Ma questo è assurdo, perché rinunciando a stabilire gerarchie di valori precipitiamo noi stessi in un baratro di insicurezza, smarrimento. Finché la vertigine del caos spinge alcuni di noi nelle braccia dei nuovi autocrati, dell’Uomo forte di turno che si affaccia al balcone e promette di restaurare l’ordine antico”. E uno di questi modelli contemporanei è proprio Vladimir Putin: “La sua ideologia dell’Ordine - recita il quotidiano tedesco Die Zeit - parte dalla premessa che la liberal-democrazia ha generato il caos. La religione secolare dell’Occidente è stata la globalizzazione. Le frontiere aperte hanno distrutto posti di lavoro e favorito le migrazioni. Allo stesso tempo sono cadute le frontiere mentali, le società liberali hanno messo in gioco tutti i valori tradizionali, nessuna istituzione sacra resiste”. Per Putin, proprio dal relativismo dell’Occidente - al cui all’interno trova giustificazione ogni cosa, dalla tolleranza al fondamentalismo islamico, alla droga, ai matrimoni gay, ecc. - nasce quella debolezza morale “che ha sempre preceduto la caduta degli imperi”.

Ecco, questa è una buona chiave di lettura per capire perché i nuovi “Padri” Putin e Trump siano ideologicamente molto più vicini tra di loro di quanto si possa pensare. Questo e molto altro, troverete nel libro di Federico Rampini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:29