De André e Don Gallo:   Riondino al Vittoria

Un prete degli ultimi che ha avuto, come quinto vangelo, la poetica di un cantautore. Lo spettacolo “Angelicamente anarchici - Fabrizio De André e Don Andrea Gallo” è un tributo a questa strana coppia (a Roma, al Teatro Vittoria, fino al 27 novembre) e ne parliamo con Michele Riondino, attore unico in scena e regista.

Da quale esigenza è nato il lavoro?

Innanzitutto dalla volontà di dichiarare tutto il mio amore e vicinanza a due personaggi che hanno fatto della partigianeria un loro motivo di vita. Amo definire Don Gallo più un partigiano che prete di periferia: un “Angelicamente anarchico”, questa è l’unica definizione che lui davvero accettava, perché racchiude la contraddizione di due termini che lo descrivono molto bene. Ecco, in questo senso sono - orgogliosamente - suo allievo.

Una parte importante dello spettacolo è musicale

Così come anche visiva, perché ci sono installazioni video. La musica è curata da Ilaria Graziano e Francesco Forni, che hanno arrangiato una dozzina di brani di De André e sono accompagnati da Remigio Furlanut, un contrabbassista di Taranto.

La drammaturgia è di Marco Andreoli, con lui che scelte avete fatto?

Pur essendo Don Gallo - se vogliamo - un uomo di teatro, in quanto narratore (negli ultimi anni ha fatto anche degli spettacoli), il personaggio era difficilmente teatralizzabile, sarebbe stato un po’ troppo banale rimettere in scena i suoi discorsi. Quindi, con Marco l’idea è stata più quella di fargli uno scherzo, e allora abbiamo messo Dg, come lo chiamiamo noi, in una sorta di limbo: passato a miglior vita, non è finito né in Paradiso né all’Inferno, si ritrova in un non-luogo dove è costretto a rapportarsi con la sua ombra, che ha le sembianze di un cardinale, l’istituzione ecclesiastica con la quale lui si è sempre confrontato. In settanta minuti di spettacolo, le parabole contenute nei brani di De André prendono forma e narrano l’uomo Andrea Gallo, una rappresentazione di quello che abbiamo conosciuto. Dg non ha nessuno a cui poter parlare, e quindi, riferendosi a un dio immaginario, si racconta attraverso queste storie. È uno spettacolo che parla di utopia, è anarchico in questo senso.

Quali sono le caratteristiche di Don Gallo che più ha fatto sue?

Si è sempre schierato, e questo entra in contraddizione con la figura istituzionale che ricopriva, anche se non ha mai fatto carriera nella gerarchia ecclesiastica. In Vaticano è stato “tollerato”, ha sempre sostenuto idee come quella di non vietare il preservativo, di fare un discorso più ampio sul tema del “fine vita” o sulle droghe leggere: tutti argomenti che ha portato avanti a suo modo, in maniera del tutto cristiana, e ha avuto - nei vari cardinali che si sono succeduti - difficoltà e ostacoli. Non aveva paura di schierarsi con i “peccatori”: un personaggio “in direzione ostinata e contraria”, e questo mi piace molto.

Lei da solo in scena: nel suo percorso artistico è un passaggio importante

Generalmente non amo i monologhi, come spettatore li temo molto e come attore ho sempre cercato di sfuggirli. Per questo ho cercato di creare uno spettacolo che, sì, avesse solo una voce, ma anche una quarta parete spessa. Il mio è il dialogo di un personaggio con se stesso: ecco la via d’uscita efficace che ho trovato. Una volta sono rimasto sconvolto dal monologo dell’”ex Amleto” di Roberto Herlitzka, e diciamo che ho cercato - in quell’esperienza da spettatore - di portare un po’ d’acqua al mio mulino.

Che tipo di risposta ha avuto, finora, “Angelicamente anarchici”?

Ottima. C’è molta curiosità, perché uno spettacolo su Don Gallo è difficile da immaginare. Per questo è stato importante usare vari linguaggi, mi sono affidato sia ad installazioni video che a un disegno luci (di Luigi Biondi, ndr) molto contemporaneo. Il rapporto col pubblico è esattamente quello che volevo, alla fine ci chiedono anche dei bis, siamo spinti a suonare altri brani: lo spettacolo è diviso, da un certo punto in poi diventa un vero e proprio concerto. Un aspetto interessante che ho riscontrato è anche il pubblico giovane: abbiamo fatto un’anteprima con le scuole, e i ragazzi non conoscono né Don Gallo né De André, però poi ci siamo soffermati a parlare dei testi delle canzoni, e - vuoi perché sono un po’ “splatter”, vuoi perché hanno un certo non-so-che di decadentismo adolescenziale - erano molto incuriositi da questo cantautore che i genitori amano.

È impegnato anche in qualcos’altro in questo momento?

C’è ora nelle sale il film “La ragazza del mondo”, opera prima di Marco Danieli, in cui ho recitato: narra una storia d’amore tra due personaggi improponibili, un piccolo spacciatore e una testimone di Geova. È un film sull’estremismo religioso, quindi molto contemporaneo, e intelligente, perché non ideologico, polemico, ma equilibrato: non prende le distanze, ma una posizione netta rispetto alla verità, tra l’altro è una storia accaduta realmente, c’è poco di inventato. In più, porto in scena, con la regìa di Alex Rigola, un Giulio Cesare che riprenderò a febbraio, appena finiamo questa tournée.

(*) Per info e biglietti: Teatro Vittoria

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:36