A scuola di teatro con David Mamet

Come si coniuga il mito vivente di David Mamet? Autore di testi per prosa, teatro e cinema, Mamet è un chiaroveggente come già abbiamo avuto modo di intuire nel suo “Americani”, in cartellone al Teatro Eliseo di Roma fino al 30 ottobre. Destruttura con i silenzi e tramite essi tesse una sottile trama tra “non-detti” e gli interdetti (magari vestiti da turpiloquio, tanto per creare una sequenza di veli sui significati profondi).

Mercoledì scorso, Mamet è transitato per un dibattito-conferenza sul palcoscenico teatrale del suo massimo estimatore italiano (che ne ha tradotto in italiano numerose opere): Luca Barbareschi, indiscusso patron del rinnovato circuito dell’Eliseo. Assediato benevolmente da Andrea Minuz (docente di Storia dell’Arte e Spettacolo all’Università “La Sapienza”) e dal moderatore Flavio Natalia (vicedirettore della sezione Spettacoli e cultura di Sky TG 24), Mamet, con l’ottima assistenza dell’interprete Olga Fernando, ha riversato le sue “perle” di saggezza sul pubblico (soprattutto giovani!) intervenuto numeroso per l’occasione, facendo una bellissima “veronica” per schivare domande (fuori luogo?) che gli chiedevano un suo giudizio sull’attuale duello presidenziale dei candidati in corsa per la Casa Bianca. La sua risposta lapidaria in tal senso è stata: “Rileggetevi la caduta dell’Impero Romano (d’Occidente)”. Beh, un gigante.

Vestito con jeans, camicia aperta e una giacca presto abbandonata, il già fondatore in tempi assai più verdi di quelli attuali di una compagnia teatrale sistemata in una casa abbandonata, ci dice che no, non è vero che il suo mestiere sia quello di “far arrabbiare la gente”. No, perché lui, in fondo, si sente più vicino a un “dentista”, dotato di una sua personale visione politica. Però meglio non chiedergli opinioni in merito (vedi Clinton-Trump) quando si è sotto anestesia! Voi pagate il dentista per essere curati e fate lo stesso con l’autore, perché, insomma, vi curi l’anima, lo spirito, la mente. Mamet si sente “dentista/drammaturgo” specializzato nell’intrattenimento. “Non ci fate troppo caso alle parole, ma iniziate a cogliere per il verso giusto ciò che vi viene proposto”.

Già, perché se poi nessuno ride assistendo ad una sua commedia, o peggio, non piange a fronte del dramma esposto allora è chiaro che l’autore ha fallito! E qui racconta la metafora della mamma e del bambino resuscitato, che chiede conto a Dio del dettaglio e si dimentica dell’immensa grazia ricevuta, ritrovando il suo bambino scomparso in mare. Si fanno e si raccontano battute, in fondo. Ecco: quando si scrive in un contesto teatrale meglio, molto meglio scagliare un tema come sabbia negli occhi del pubblico, lasciandolo poi irrisolto, sospeso sulla ragione deduttiva che sempre sbaglia nelle sue conclusioni, perché poi ognuno segue un proprio tracciato mentale, per lo più divergente da quello nascosto dell’autore. In fondo, non è meglio avere un vero amico che diecimila parenti?

E Barbareschi (discreto come un battito di farfalla) interviene una sola volta, per raccontarci la sua esperienza americana, cocciuta e testarda, dei primordi quando faceva il barista per mantenersi in un’America più aperta di oggi, quarantadue anni fa. Digiunava. Visitava teatrini. Adorava fin da allora il teatro di Mamet. Di lui intuiva una grandezza che non sapeva spiegare, allora. Non aveva gli strumenti culturali ma, in compenso, era assistito da una volontà di ferro: quella che sa e può tradurre le idee in investimenti vantaggiosi per qualcuno che quelle risorse le abbia. Da traduttore, ci dice che lo spartito del Mozart-Mamet rappresenta un concetto molto preciso di scrittura innovativa, dove tutto un mondo si mimetizza e ci osserva ironico dietro le pause. Ma anche l’autore, Mamet, che non rivede mai le cose fatte (perché sarebbe il primo a esserne scontento! Meglio fidarsi degli altri, quindi...) messo davanti alle clip del suo prestigioso passato, in occasione del festival cinematografico di Roma, osserva stupito quei suoi frammenti di coscienza e di memoria, chiedendosi: “Ma come avrò fatto?”.

Le opere compiute sono come tanti figli: si riflette sul passato e si ripensa alle posizioni ora severe ora permissive, col senno di poi. Quando crei un’opera è lo stesso: devi metterti nei panni del pubblico, chiedendoti: “Ho detto abbastanza perché voglia interrogarsi? Ho detto troppo e si sono annoiati?”. Nessuno è perfetto e ciò che conta è dare il meglio di se stessi! Una battuta sugli attori (che non vanno mai “spaventati”, in quanto perdono concentrazione e fiducia in se stessi!): un regista o un autore vuole che l’attore si presenti, che dica le battute in modo intellegibile e non si muova! L’attore deve metterci l’anima, moderando le emozioni in modo da lasciare spazio al pubblico in tal senso. E cita due volte Aristotele: la tragedia è il cambiamento da Re a mendicante, in cui il primo all’apice del pentimento intende invertire il senso delle sue azioni malvagie. Edipo si accorge di essersi innamorato della donna sbagliata per cui si punisce accecandosi e divenendo un mendicante. Infine, per quanto riguarda gli adattamenti ai testi scritti in una altra lingua (inglese o russo): “Tradurre è tradire. È inevitabile. Impossibile essere fedele sia al significato che alla poesia. Cechov è talmente noioso che al pubblico viene data una pistola perché possa spararsi. Ma, per chi nasce russo, le opere di Cechov in lingua originale sono buffe e divertenti”.

Questo è “anche” Mamet, in rapida sintesi!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:29