Tra prestiti lessicali e bancarotta linguistica

Un aforisma, un commento - “Il Governatore, come sempre outspoken, ripete come un mantra che l’efficienza è il benchmark della governance locale. Secondo rumors insistenti egli istituirà una task force per il monitoring in progress dei feedback da parte dei cittadini con l’assist delle associazioni non-profit e di vari brand. In attesa della spending review, che ormai è un cult, nel Consiglio si susseguono interventi nel question time ma la giunta alza un impenetrabile firewall. Un gossip, con grosso successo di audience, a seguito del briefing mattutino della Authority, tenutosi nella consueta location, ha segnalato un possibile default della Regione il cui look morale dipende anche dall’endorsement alla lotta allo stalking e al mobbing. In fondo siamo al solito remaking col sapore del glamour”.

Tipico fraseggio del giornalismo televisivo detto “italiano”.

Non si tratta di essere pedanti e, magari, di proporre la traduzione di ogni parola straniera in italiano. Anche perché, nel testo immaginario dell’aforisma – che però riflette una tendenza reale – praticamente tutte le espressioni inglesi hanno già una loro versione italiana non raramente più efficace. Si tratta, invece, di chiederci perché molti giornalisti, soprattutto televisivi, preferiscano adottare il genere di espressioni di cui stiamo parlando. Anni fa, qualcuno aveva definito questa tendenza come desiderio di erigere una “barriera linguistica”, una sorta di demarcazione che consentisse di selezionare il proprio interlocutore. Insomma, chi usava parole raffinate o, appunto, espressioni straniere, lo faceva per distinguersi e mettersi in relazione privilegiata con altri che condividevano la conoscenza di quelle parole, tagliando fuori la massa che non le dominava. Che a “tagliar fuori la massa” siano però giornalisti che leggono i propri pezzi al microfono di un mezzo di comunicazione di massa appare come decisamente paradossale, oltre che inefficiente.

Alla radice di questo vezzo c’è comunque pur sempre l’attitudine ad un esibizionismo facile e ad una forma di gratificazione a basso prezzo nella persuasione che lo sfoggio di espressioni straniere, specialmente inglesi, fornisca la prova della propria cultura, anche se solo in fatto di terminologia spicciola. D’altra parte, l’abitudine ad usare parole o frasi straniere non è certo una novità. Per varie ragioni storiche, ad esempio, espressioni francesi di varia natura fanno parte da secoli del lessico italiano così come accade per una nutrita fraseologia latina. Spesso, il ricorso a parole o frasi di questo genere è però dovuto a qualche loro peculiare capacità espressiva difficilmente traducibile in italiano come è per formulazioni sintetiche del tipo carpe diem o honni soit qui mal y pense. Pur essendovi, anche qui, possibili versioni italiane, il loro impiego nella lingua originaria, se limitato a passaggi particolarmente incisivi, assume il senso di una citazione e non di una sostituzione senza senso.

Nel caso attuale dell’uso debordante di espressioni inglesi, infatti, si è di fronte ad una diffusione pervasiva e repentina che non ha nulla di elegante e di cui non si sente alcun bisogno. È ovvio che, se un nuovo prodotto o un nuovo procedimento proviene dal mondo americano, la sua denominazione corretta è bene rispetti la sua origine, come nel caso di floppy disk o Bluetooth che definiscono la cosa in esame come farebbe un nome proprio. In questi casi è certamente da evitarsi un’ostinata traduzione italiana per non incorrere in esagerazioni alla fine ridicole come è stato, durante il regime fascista, per il brano jazzistico Saint Louis blues che doveva citarsi come “Nostalgia di San Luigi” o come è accaduto, in terreno francese, per la traduzione dei termini hardware e software rispettivamente in matérielle e logicielle.

Che ogni lingua evolva è un fatto noto e irreversibile che non può essere bloccato da progettazioni fatte a tavolino. Ma un conto è l’evoluzione e un altro è la svendita di una tradizione linguistica, senza che il patrimonio conoscitivo ne tragga alcun beneficio. Prima di tutto, è una questione di buon gusto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:28