Scultura buddhista in mostra a Roma

Con ventuno opere lignee, talvolta con rifiniture in bronzo, si è aperta venerdì scorso e proseguirà fino al 4 settembre, presso le Scuderie del Quirinale, a Roma, l’esposizione dei Capolavori della Scultura Buddhista Giapponese. Certamente l’evento più importante fra i tanti programmati per celebrare l’anniversario dei 150 anni delle relazioni tra Italia e Giappone.

Già nel XIV secolo i monaci busshi erano in grado di produrre delle opere, delle lavorazioni a noi sconosciute in quel periodo storico, di fine fattura e rara bellezza, che solo oggi, per la prima volta, riceviamo in Italia. Degli autentici capolavori con forte connotazione simbolica. Un percorso scultoreo che ci permette di cogliere, limpidamente, l’avvicendarsi delle contaminazioni: indiane, cinesi, shintoiste che, evidenziando la sensibilità artistica e religiosa del buddhismo giapponese, s’inseriscono in un arco temporale che va dal periodo Asuka, contraddistinto da un forte espressionismo (dal 538 al 710 ), prosegue con il periodo Nara (dal 710 al 794) e continua con il periodo Heian (dal 794 al 1185) fino al periodo Kamakura (dal 1185 al 1333) caratterizzato da un realismo che vede nell’essenzialità delle forme la sua sublimazione. Particolarmente interessanti sono le sculture di quest’ ultimo periodo in esposizione.

Nell’allestimento della mostra è chiaramente visibile l’evoluzione dalle prime opere, con lo scorrere del tempo anche la scultura fluisce, i drappeggi diventano sempre più ricchi ed allo stesso tempo più eleganti e lineari. Delizioso il “Bodhisattva su nuvola”, con la tonsura, l’abito da monaco, il volto paccuto e gli ampi panneggi delle vesti del tardo heian. Quest’opera è particolarmente rappresentativa del livello raggiunto dalla bottega di Jocho, con l’utilizzo di più tecniche. La tecnica yosegi, elaborata attraverso un manufatto composto da varie, piccole, parti di sculture in legno, creando un lavoro composto in più blocchi. Jocho elaborò anche la tecnica warihagi, che consiste nel tagliare il blocco di legno durante la lavorazione, per poi scavarne l’interno ed apportare i necessari aggiustamenti. Il suo stile si diffuse nella definizione delle sculture giapponesi nei successivi 150 anni e, grazie a queste tecniche, iniziò una diffusione seriale. E ancora, sempre grazie a queste tecniche, si è potuta sviluppare una peculiarità non irrilevante: la presenza all’interno di ogni scultura di una reliquia del personaggio rappresentato.

Bellissimi, il “Monaco”, che sembra guardare con interesse i visitatori, con il suo occhio sinistro lievemente più aperto del destro e il “NyoirinKannon”, con le sue sei braccia ed il volto , assorto in meditazione, poggiato sul palmo della mano destra, che a dire dei sutra, sembra accorra per salvare i fedeli non appena senta invocare il suo nome. I “Dodici generali divini” proteggono i fedeli vigilando su ciascuna delle dodici parti del giorno ed ognuno porta sulla fronte l’emblema dell’animale che rappresenta la propria ora. In queste sculture è apprezzabile l’enfasi espressiva ed il formalismo nella sottolineatura delle pieghe che sventolano in assenza di coordinazione con il movimento del corpo in rapporto disarmonico con gli arti.

A chiusura di questo percorso, un video di una decina di minuti, illustra le preziose sculture conservate nel tempio di Sanjusangen-do di Kyoto.

Questa mostra, in conclusione, offre anche la possibilità di riflettere sulla modernità di opere, che pur prodotte lontano nel tempo, continuano a suscitare molteplici sensazioni in chi ha l’occasione di ammirarle, a dimostrazione della loro perenne attualità.

Aggiornato il 22 giugno 2017 alle ore 13:10