In ascolto di Teardo

Un palcoscenico di teatro nord-europeo, per un artista noto soprattutto come autore di colonne sonore cinematografiche italiane. Debutta l’11 luglio al Galway International Arts Festival lo spettacolo “Arlington” dello sceneggiatore e regista Enda Walsh (insieme a David Bowie aveva realizzato l’opera “Lazarus”), le cui musiche originali sono composte da Teho Teardo, che incontriamo proprio per quest’occasione.

Com’è nato il rapporto con Walsh?

Nel modo migliore, secondo me perfetto: un giorno mi è arrivata un’e-mail sul mio sito Internet in cui mi ha scritto “ciao, mi piace la musica che fai, lavoriamo insieme?”. Qualche giorno dopo ci siamo incontrati a Londra e ora è più di qualche anno che collaboriamo.

Quali sono le modalità del binomio artistico?

È una combinazione, ad esempio per la nostra opera precedente, “Ballyturk”, di tre anni fa, Enda mi scrisse: “Sono ossessionato dal tuo album ‘Music for wilder mann’, l’ho sentito per due mesi ininterrottamente, e mentre lo ascoltavo ho scritto questo testo. Tu, adesso, riusciresti a restituire in musica uno scritto che nasce comunque da un tuo disco?”. E quindi si è creato un rapporto che è una sorta di “loop”, un ciclo continuo tra me e lui in cui ci scambiamo musica e idee.

Ora c’è “Arlington”. Di cosa tratta?

È una storia d’amore, dimensione piuttosto insolita per noi due. Prende forma in mezzo alla natura, ma in un luogo terrificante che si sta completamente disgregando. Nonostante tutto finisca a pezzi, due persone riescono a trovare gli elementi per creare un nuovo equilibrio, che in qualche modo ha dell’alchemico tra loro. A un certo punto, smettono di recitare e cominciano una ventina di minuti dedicati alla danza, che porta avanti il racconto fino a quando loro due tornano in scena e compiono la storia.

Contemporaneamente, si sta dedicando ad altri due progetti, uno dei quali è il “Nerissimo Tour”.

“Nerissimo” è l’album pubblicato a maggio con Blixa Bargeld (è il nostro secondo insieme), a cui è seguita questa prima parte di tour, in cui abbiamo suonato molto, più o meno in tutta Europa, da Istanbul a Londra fino ad Helsinki. A settembre lo riprenderemo, ancora in Europa e in Italia, poi andremo addirittura in Giappone. Non ci sono mai stato e sono emozionatissimo all’idea, a Tokyo faremo almeno un paio di concerti.

Il terzo impegno è “Viaggio al termine della notte” - un reading musicato - con l’attore Elio Germano.

È uno spettacolo che portiamo avanti da 5-6 anni, abbiamo deciso di non smettere di farlo. Ogni anno fissiamo un po’ di repliche, perché è importante tenerlo vivo, e per farlo cambiamo continuamente le musiche e alcune parti del testo. Un esperimento interessante, per noi, come se non finisse mai. Nella nuova versione abbiamo un trio d’archi, l’abbiamo provata l’anno scorso a Villa Ada e andò molto bene; adesso stiamo proseguendo ancora in quella direzione, perché mi interessa molto lavorare con altri dal vivo.

E l’attività nel cinema, come è iniziata?

In Italia è un ambiente talmente chiuso e ristretto che è difficilissimo entrarci. Ci sono soltanto due modi principali per farlo: per conoscenze, relazioni, parentele (se si guardano i titoli di coda dei film, ci sono sempre gli stessi cognomi), oppure per caso. Questa seconda opzione è quella successa a me; non ci avevo neanche mai provato, poi il musicista Federico De’ Robertis fece ascoltare un mio disco al regista Gabriele Salvatores, con cui lavorava, e così mi hanno coinvolto per il film “Denti”, nel 1999. Fu un ingresso importante nel cinema, in modo totalmente casuale, senza nemmeno sapere cosa fare. Il problema si è posto subito dopo, perché quel lavoro piacque e sono arrivate altre richieste; allora mi son detto: “Adesso bisogna trovare un modo per posizionarsi in maniera sensata in quel mondo, senza fare musichette di accompagnamento da piano bar come ce ne sono troppe”. Quindi ho pensato che avrei continuato come nel mio, di mondo: io lavoro in un modo solo, abbastanza istintivo, spontaneo, basato molto sull’improvvisazione.

Per realizzare le colonne sonore quali sono le sue modalità?

Il cinema è un continuo dialogare, senza il bisogno di imporre la propria posizione. Io poi, come musicista, esisto perché prima ero un ascoltatore, quindi sono abituato a sentire sia la musica che le indicazioni dei registi, della sceneggiatura, dei pre- montati. È proprio una questione di mettersi in ascolto, prendere il proprio ego, impacchettarlo e buttarlo in un bidone.

Tra cinema, teatro e concerti ha delle predilezioni, in questo periodo?

Non c’è una demarcazione tra un mondo e l’altro, io vivo in questa confusione, la cerco e la innesco. Così, ora ho confuso ancora più le cose collaborando con Liliana Cavani, che con “Filumena Marturano” ha fatto il suo debutto a teatro.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:12