Laurence Anyways e l’amore oltre ogni cosa

Laurence Anyways, terza opera dell’enfant prodige Xavier Dolan, classe 1989, è un film del 2012 (due premi a Cannes, Queer Palm per la regia e migliore interpretazione femminile a Suzanne Clément), che tuttavia arriva nelle sale italiane solo a distanza di 4 anni.

Abbandonati gli iniziali slanci autobiografici, il cineasta canadese – dichiaratamente omosessuale – non ha smesso di dedicarsi ai nodi della sessualità “non ortodossa”. Se nel suo film d’esordio, “J’ai tué ma mère” (2009) aveva raccontato le difficoltà di un adolescente gay rispetto ad una madre ingombrante, in Laurence Anyways abbandona la rabbia personale, ponendosi solo come “narratore” e tornando dietro la macchina da presa in modo più consapevole e maturo. In questo progetto il regista offre lo spaccato di un Canada che, alle soglie del nuovo millennio, non è il Paese libero e moderno che vorrebbe sembrare, ancora intriso di un provincialismo meschino e radicato, incapace ad accettare il “diverso”.

È il 1989, Laurence è uno stimato professore di letteratura in un liceo di Montreal e un apprezzato romanziere esordiente. Nel giorno del suo 35esimo compleanno, confessa alla fidanzata – l’effervescente regista Frédérique – che ha sempre sentito di essere nato nel corpo sbagliato. Imbrigliato per decenni nei panni di un uomo, Laurence ha finalmente preso coscienza del bisogno di non mentire più, a se stesso prima che agli altri. Risoluto alla trasformazione rinuncia a tutte le certezze acquisite, ma la posta in gioco è altissima: il rapporto con la famiglia, la reputazione professionale, la sua storia con Fréd. Quest’ultima è dapprima sconvolta, ma poi sceglie con determinazione di restare al suo fianco. Del resto Laurence continua ad amarla, anche nella nuova “veste”. Il loro rapporto si fonda su un’empatia profondissima, che prescinde anche un cambiamento così radicale. Le ostilità, i pregiudizi e una società conformista e perbenista metteranno a dura prova il loro legame nel decennio successivo. Anche se, nonostante tutto, tra distanze ed avvicinamenti, si ritroveranno sempre. Fréd a parte, Laurence è un uomo che, d’improvviso, si ritrova solo, emarginato dalla società e da quelle persone che fino a poco tempo prima lo avevano ammirato.

Dolan con questo film osa più del solito, cimentandosi con la materia multiforme e scottante dell’appartenenza di genere e di un orientamento sessuale che si sottrae alle logiche del pensiero comune. Laurence Alia non è infatti un “uomo che ama gli uomini” ma un uomo che, pur non sentendo di appartenere al proprio corpo non modifica le proprie preferenze sessuali. Dal canto loro i due attori – Melvil Poupaud e Suzanne Clément – interpretano in modo straordinario i rispettivi ruoli, rendendo in modo potente il dolore emotivo e psicologico sperimentato da entrambi. Magistrali le inquadrature, i dialoghi, i costumi e la colonna sonora – rigorosamente anni Ottanta e Novanta.

La condizione di reietto, in cui è confinato Laurence, viene dipinta attraverso le immagini. In una sequenza di straordinaria efficacia gli sguardi muti della gente pesano come macigni, in un silenzio carico di giudizi. È il 1999, il mondo dovrebbe essere libero e invece la linea di demarcazione tra norma e marginalità è ancora inaspettatamente invalicabile.

Questo terzo lungometraggio, della durata di quasi tre ore, è forse il più delicato, il più vero, il più disperato, ma al contempo carico di speranza. L’amore tra Laurence e Fréd sembra poter superare anche l’ingombrante barriera di un cambio di genere. A modo suo il regista ci propone una storia drammatica ma anche un messaggio importante, un inno all’amore, un amore “sicuro” ma non idiota, che vince la prova del tempo ma non quella dell’accettazione, perché ciò che conta è la persona non il suo genere, anche se non tutti sono pronti a conviverci.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:35